L’amministratore delegato di Eni ha dichiarato qualche giorno fa che “senza le infrastrutture, ossia rigassificatori e stoccaggi più ampi, l’inverno più difficile sarà quello del 2023-24, non quello del 2022-23”. Dopo aver dato la brutta sorpresa il manager ha descritto la realtà italiana in modo impietoso: “In questi anni abbiamo dato per scontato che l’energia fosse sempre disponibile, ma i nostri rigassificatori sono un terzo di quello che dovrebbero essere, e non abbiamo stoccaggi, l’Italia è un grande mercato di trasformazione che non ha energia”. Infine: “Noi porteremo 7 miliardi di gas liquido dal 2023 via nave, ma se non ci sono rigassificatori vanno da un’altra parte. Il sistema deve essere sovrabbondante sia sulla materia prima che sulle infrastrutture, così i prezzi calano immediatamente”.



La situazione italiana è drammatica perché un’economia trasformatrice, come la nostra, senza energia semplicemente scompare. Dall’oggi al domani. La caratteristiche di trasformatore dovrebbe spingere il sistema, per coprire la sua fragilità, in una situazione opposta in cui le forniture sono ridondanti perché non si può permettere il rischio di interruzione.



Il messaggio è molto diverso da quello che veniva dato ancora in primavera inoltrata e all’inizio dell’estate. L’ad si era impegnato a sostituire il 50% delle importazioni russe a partire da questo inverno e l’80% a partire da quello 2023-2024. Era chiaro che passato l’inverno che si appresta a iniziare la sfida sarebbe stata in discesa. Negli scorsi mesi, seppur in misura ridotta rispetto al 2021, il gas russo è continuato ad arrivare e in misura consistente; nei primi otto mesi dell’anno la Russia ha rappresentato ancora più del 20% delle importazioni di gas italiane. Questa fonte difficilmente verrà mantenuta nei prossimi mesi. Il mercato globale nel frattempo è peggiorato, gli investimenti sono fermi al palo e chi non ha le risorse o contratti di medio lungo termine deve competere in un mercato, quello del gas liquefatto, estremamente competitivo.



È difficile credere che la speranza di un rapido miglioramento delle infrastrutture italiane sia venuta meno così rapidamente. Nessuno ha anche solo pensato di mettere mano alle regole sull’estrazione di idrocarburi nazionali e le polemiche, per esempio, sul rigassificatore di Piombino sono le stesse da mesi.

Il quadro che ha dipinto l’ad del gruppo energetico italiano per antonomasia è aderente alla realtà che via via si fa più chiara e su cui non si può più fingere perché l’inverno è alle porte. Evidentemente sostituire il gas russo, tanto più a quei prezzi, non è facile e quello che è successo negli scorsi mesi ha messo in crisi i mercati energetici globali. Forse il quadro di qualche mese fa rifletteva un particolare clima politico che ha permesso a tutti di ignorare i fatti e, soprattutto, le loro conseguenze.

Se le quantità non ci sono non sarà un’alchimia finanziaria o regolamentare, come il tetto ai prezzi, a risolvere la situazione. Se il prezzo è libero di salire a ridurre i consumi e a lasciare imprese e consumatori senza gas sarà il mercato. Se vengono introdotti tetti al prezzo, comunque a cifre che sono 10/15 volte superiori all’inizio del 2021, allora la politica dovrà intervenire imponendo razionamenti ai consumi industriali, fermando le imprese, e alle famiglie, imponendo blackout.

Il corollario di tutto questo è che se la produzione viene ridotta e i prezzi energetici rimangono alti la disponibilità di beni diminuisce e l’inflazione peggiora. Non rispetto ai livelli del 2021, ma a quella record di queste settimane. Forse basterà spiegare che non tutto il male viene per nuocere e che tornando alla legna per scaldare le case, e tutto il resto, salveremo il pianeta. Può funzionare se la fornitura di beni di prima necessità non si interrompe. Un’analisi su cosa serva a produrli non ci fa stare particolarmente tranquilli.

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