Una bolla dei prezzi ancora in espansione, che rischia di soffocare molte aziende del comparto servizi. Costrette ormai da mesi a cercare di scalare una curva dei rincari di componenti e materiali che non accenna ad appiattirsi e alla quale non riescono più a restare aggrappate. Anzi, su quel pendio scosceso sempre più aziende sono costrette a sacrificare commesse e margini.



Il guaio è che la corsa dei prezzi potrebbe continuare finché non cesserà di esistere il Superbonus 110%, che scadrà a fine 2023, e la transizione energetica non avrà raggiunto determinati obiettivi. E a complicare ancor più un quadro già drammatico si è ora aggiunta anche la guerra in Ucraina.

A lanciare un accorato grido d’allarme è il settore del facility ed energy management, cioè quelle imprese che si occupano di manutenzione e approvvigionamento energetico degli edifici non come fornitura della commodity, ma come installazione o riqualificazione di impianti.



I rincari e le difficoltà di approvvigionamento delle materie prime pongono infatti alle imprese due gravi problemi. Il primo riguarda i cantieri in corso: molte imprese si trovano oggi a realizzare commesse contrattualizzate prima della bolla. E gli aumenti stellari – compresi fra il 30% e l’80% – che hanno investito non solo il gas, ma anche ferro, acciaio, alluminio o silicio, cioè tutte le materie prime che in qualche modo sono contemplate in un intervento di riqualificazione energetica o per impianti a fonte rinnovabile, rendono praticamente impossibile continuare i lavori. Un mercato in forte fibrillazione, visto che l’adeguamento e l’aggiornamento dei listini prezzi, nazionali e regionali, avviene ogni sei mesi, e non dopo diversi anni come prima della bolla.



In più, Superbonus 110% e incentivi alla riqualificazione o al risparmio energetico hanno fatto sì che la domanda esplodesse, a tal punto che le aziende produttrici di questi componenti si sono trovate nella condizione di non poter servire tutto il mercato. Risultato? I materiali non si trovano.

Ed è un problema serissimo. Basti pensare che, quando si aggiudica una commessa con un grosso ente privato o pubblico, l’azienda di servizi è tenuta a fornire un cronoprogramma dei lavori preciso, un calendario che oggi non si riuscirà mai a rispettare. Non solo: molti contratti prevedono termini tassativi, non derogabili, e in caso di inadempienza scattano richieste di pagamento di una penale o contenziosi giudiziari. Una tagliola, quella di dover far fronte a veri e propri contratti capestro, in cui sono cadute sempre più imprese. E oggi – ulteriore segnale negativo – molte gare, non solo per appalti pubblici, ma anche per grossi privati, vanno praticamente deserte, perché bandite con prezzi non attuali e inaccessibili per le imprese.

Il secondo problema è legato al fatto che, se per fornire un determinato servizio o impianto, prima della bolla materie prime l’azienda aveva avanzato un’offerta economica pari a 100, prevedendo un proprio margine, l’aumento folle dei materiali ha praticamente bruciato quei profitti. Un’erosione inarrestabile e ormai generalizzata. Si corre quindi non solo il rischio che possano saltare ordini e commesse o che si perdano clienti e quote di mercato, ma addirittura il rischio che possano saltare le aziende stesse, con evidenti ricadute negative e drammatiche sul piano occupazionale e sociale.

Sarebbe, allora, il caso di intervenire in anticipo. Il governo, varando tre decreti Sostegni, ha cercato di venire incontro alle necessità delle imprese, ma lo ha fatto, secondo le imprese stesse, in misura inadeguata alla sperequazione che si è venuta a creare. Il Sostegni-bis, per esempio, copriva solo l’8% degli aumenti, e non per tutti i materiali: in pratica, un’azienda poteva chiedere solo l’8% in più di quel che aveva preventivato di spendere nel semestre. Peccato che nel frattempo un impianto che prima della bolla costava 100 sia arrivato a costare non meno di 150…

Che cosa chiedono allora le imprese? Interventi strutturali: da un lato, incentivi non simbolici, ma più aderenti a quella che è la realtà; dall’altro, una revisione e una regolazione migliore di quelle misure che hanno scatenato questa bolla, a partire dal Superbonus 110%, al fine di evitare ulteriori distorsioni.

Ma tutto ciò potrebbe anche non bastare. Dovendo rispettare (ma sarà molto difficile mantenere gli impegni) gli obiettivi fissati per il 2030 e per il 2050, la transizione energetica sta pesantemente investendo tutti i comparti, nessuno escluso. In questa sorta di conto alla rovescia e di corsa affannata a tutto ciò che può aiutare a realizzare la rivoluzione green, si tratta – ed è la terza richiesta delle imprese – di concedere la possibilità della revisione prezzi a tutti i comparti, compreso il mondo dei servizi, oggi escluso. Una revisione che sia supportata, ovviamente, da una rendicontazione ben documentata e dettagliata.

“Il 90% della nostra attività – osserva, per esempio, Carmine Esposito, consigliere delegato di Epm Servizi e presidente di Csi (Consorzio Servizi Integrati) – consiste nella fornitura di servizi, siano essi di manutenzione o di installazione di un impianto, tutti colpiti dagli aumenti di prezzo dei materiali. Ebbene, la revisione dei prezzi non è concepita nella stessa misura del settore delle forniture. Il vincolo che deriva dalla necessaria imprevedibilità dell’aumento dei costi alla data di presentazione dell’offerta, si potrebbe porre d’ostacolo all’adeguamento del corrispettivo in caso di incremento del costo della manodopera prevedibile, che si verifica tutte le volte in cui il Ccnl sia già in scadenza alla data di presentazione dell’offerta, ipotesi in cui l’aumento dei prezzi è prevedibile nell’an, ma non nel quantum”.

Quando potrà terminare questa bolla? Nessuno lo sa, anche se molto probabilmente non cesserà nel 2023 con la fine del Superbonus 110%. Anzi, chi sarà sopravvissuto a questa drammatica congiuntura non potrà molto probabilmente abbassare i prezzi, perché nel frattempo, e per gli anni a venire, avremo sempre più bisogno di completare una transizione ecologica a 360 gradi, caratterizzata da una domanda molto robusta e diffusa.

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