Che nel mare della storia l’impresa sia un soggetto poco conosciuto, a discapito delle guerre, della politica, della religione e financo delle mentalità è cosa nota.

Per colmare questo vuoto, sul finire degli anni 90, Giulio Sapelli regala alle stampe un agile e affascinante lavoro sull’impresa, Perché esistono le imprese e come sono fatte (Guerini, 1999; ora ristampato a vent’anni di distanza). Non è casuale che, nella chiusura del millennio, uno dei più grandi storici dell’economia ponga attenzione proprio al soggetto storico che ha reso grande il XX secolo e ne ha cambiato il volto.



Un viaggio affascinante che ci porta a capire gli immensi processi di trasformazione economica, ma soprattutto sociale, che l’impresa ha generato. Sì, perché mentre grazie all’industria le leadership mondiali si sono trasformate (si pensi solo al passaggio del Giappone da paese feudale a grande potenza industriale), anche immense masse umane sono state sottratte al bisogno e hanno avuto accesso a beni e servizi impossibili da immaginare prima dell’avvento del capitalismo dispiegato.
In questo senso il Novecento e i suoi mercati di massa hanno concorso a creare un secolo lunghissimo, pieno di rivolgimenti.



È l’impresa multinazionale a dominare questo assetto. L’affinamento delle tecniche, le scelte di razionalizzazione tecnologica e organizzativa del lavoro hanno permesso il suo diffondersi su larga scala.

Ma non è solo la grande impresa a fare la storia. Le grandi, infatti, non possono da sole cogliere tutte le potenzialità del mercato. E qui entrano in gioco le piccole e medie, che hanno fatto la forza del nostro sistema paese, ma anche all’impresa cooperativa, che risponde al fallimento delle imprese capitalistiche, poiché valorizza il rapporto tra le persone piuttosto che quello tra merci.



Resta, poi, la complessa dicotomia Stato-impresa. Il capitalismo, ci mette in guardia l’autore, in ogni dove non è stato guidato dallo Stato, ma si è coevoluto con esso, generando politiche economiche e scelte strategiche a sostegno dei bisogni primari delle persone.

Un libro, un percorso, tutto dentro i mille volti dell’impresa, che mette soprattutto in luce la sua resilienza e la capacità di adattamento e di evoluzione, così come le sue strutture organizzative e dirigenziali.

Accompagnando il lettore nella polifonia delle forme d’impresa, Sapelli dimostra come la ricchezza mondiale si sia potuta generare solo attraverso questo incredibile strumento che l’uomo ha saputo creare per canalizzare non solo i profitti, ma anche soprattutto le intelligenze, le passioni, le innovazioni e non da ultimo il proprio esserci nel mondo di miliardi di persone. Perché il capitale è molto più di un indice à la Piketty.

Restano profetiche le parole di Adriano Olivetti nel famoso discorso allo stabilimento di Pozzuoli: “La nostra società crede perciò nei valori spirituali, nei valori della scienza, crede nei valori dell’arte, crede nei valori della cultura, crede, infine, che gli ideali di giustizia non possano essere estraniati dalle contese ancora ineliminate tra capitale e lavoro. Crede soprattutto nell’uomo, nella sua fiamma divina, nella sua possibilità di elevazione e di riscatto”.

La riflessione di questo libro, allora, vale fortemente per l’oggi, in una società che monetizza ogni aspetto della vita, nel quale l’impresa e l’imprenditore sono diventati tiranni nel mare di una crescita asfittica e di depressione delle forze più genuine del paese.

La realtà dei fatti è che l’impresa può invece essere la libertà dei moderni, il luogo dove si inverano le aspirazioni più brillanti, i sogni più belli.