Kim Jong Un, il dittatore della Nord Corea, avrebbe deciso: è pronto alla guerra contro la Sud Corea, da cui è diviso dopo la guerra e l’armistizio degli anni 50. Lo dicono l’ex CIA Robert Carlin e l’esperto di nucleare Sigfried Hecker in un articolo in cui paventano la possibilità di un nuovo conflitto, prospettando addirittura l’uso di un arsenale nucleare (tra le 50 e le 60 testate) che potrebbero essere lanciate dai nordcoreani su missili in grado di raggiungere anche il Giappone. Uno scenario apocalittico tutto da confermare, anche se ci sono alcuni elementi che fanno pensare a un aggravamento della situazione fra i due Paesi.



Kim Jong-un, spiega Massimo Introvigne, sociologo, fondatore del Cesnur e del sito Bitter Winter, si sente più forte perché appoggiato da Russia (cui fornisce armi) e Cina e all’inizio del 2024 ha cancellato istituzioni finalizzate al dialogo, anche religioso, con la Sud Corea. In realtà venivano usate per la propaganda, ma la loro cancellazione è simbolo di un inasprimento dei rapporti che certo non porta al disgelo con il Paese fratello.



In un mondo alle prese con la guerra in Ucraina e in Medio Oriente e con decine di altre situazioni simili meno seguite, come quella del Sudan, ora dobbiamo temere anche uno scontro fra le due Coree voluto da quella del Nord?

Hecker e Carlin sono due studiosi. Il primo è un esperto che si occupa di nucleare e molti parlano delle nuove armi nucleari subacquee che sarebbero a disposizione di Kim Jong-un. La Corea del Nord si sente più sicura nel pubblicizzare le sue attività in questo campo, perché in questo momento è protetta da Russia e Cina. È diventata un fornitore cruciale di armi e munizioni per Mosca: è più integrata nell’alleanza antioccidentale globale.



Al di là delle questioni militari, ci sono degli atteggiamenti del regime che possono far pensare all’intenzione del dittatore nordcoreano di entrare in guerra?

Quello che vedo è che nel 2024, all’improvviso, c’è stata una svolta nella politica nordcoreana: nel giro di tre settimane sono state chiuse tutta una serie di istituzioni, anche accademiche e religiose, che avevano come scopo (naturalmente propagandistico, ma tant’è) il dialogo con i sudcoreani. Si tratta di cinque o sei organizzazioni che sono state smantellate all’inizio dell’anno in poco tempo.

C’erano enti che si occupavano anche di religione?

Sembra bizzarro che in un Paese in cui la religione è vietata ci fossero delle istituzioni per il dialogo religioso. In realtà c’erano: la più antica delle nuove religioni coreane, che si chiama Chondogyo, risale agli inizi del 900 e ha una presenza nella Corea del Nord, dove viene tenuta in considerazione perché giocò un ruolo nella lotta contro l’occupazione giapponese, tanto da venire considerata una sorta di organizzazione patriottica. I seguaci del Nord di Chondogyo hanno cattivi rapporti con quelli del Sud, ma veniva mantenuto il dialogo interreligioso con ambienti accademici sudcoreani e anche con i cristiani. Al di là di questa vicenda specifica, sono state chiuse altre organizzazioni più importanti, come il Comitato per la Riunificazione Pacifica della Patria. Kim Jong-un sembra abbia dichiarato finito l’approccio del dialogo per scegliere quello militare.

In quale modo Russia e Cina influiscono sulle scelte di Kim Jong-un?

I russi ritengono che l’aumento dei focolai di guerra li favorisca: in qualche modo quello che è successo in Medio Oriente li ha agevolati in Ucraina, perché gli americani devono armare nello stesso tempo ucraini e israeliani. Se le minacce continuano, gli Usa dovranno armare anche la Corea del Sud, come già richiesto dal suo presidente. E tutto questo va a pesare sul contribuente americano, anche se poi Trump, se toccherà a lui, potrebbe vederla diversamente su queste spese. Da un certo punto di vista per la Russia più si moltiplicano i teatri di guerra e più diminuisce la pressione contro Mosca su quello ucraino.

Putin potrebbe avere indirizzato in questo senso Kim Jong-un?

In questo contesto bisogna distinguere tra i test e il riarmo nucleare della Corea del Nord, che è sempre andato avanti, e gli annunci e la pubblicità che viene data a questi test, qualche volta condotti in modo sostanzialmente clandestino. Può darsi che nel pubblicizzarli ci sia un consiglio dei russi per creare un altro teatro di tensione che costringa gli americani a dirottare risorse sulla Corea del Sud. Mi lascia più perplesso, tuttavia, lo smantellamento delle strutture di dialogo operato dai nordcoreani: non penso che avessero intenzioni genuine, ma averle cancellate è un gesto simbolico che fa riflettere. Così come le dichiarazioni che i sudcoreani sono cattivi e che l’unica soluzione del problema è militare. Prima il tema della riunificazione pacifica era comunque sul tavolo, stava molto a cuore anche a molti in Corea del Sud, anche con proposte che prevedevano la concessione dell’immunità per crimini contro i diritti umani nei confronti di dirigenti del Partito comunista. Il giorno in cui la Cina chiudesse le sue organizzazioni, anche religiose, che dialogano con Taiwan ci sarebbe da preoccuparsi.

Che tipo di controllo esercita il regime nella Corea del Nord? È veramente così capillare?

Il controllo è totale. Basta passarci sopra con l’aereo di notte per verificare che non c’è elettricità. La BBC di recente ha trasmesso un estratto della tv nordcoreana su un processo contro un ragazzino di 12 anni che aveva guardato con un’antenna di fortuna la tv della Corea del Sud: è stato mandato in campo di concentramento. Aumentano pure le persone che cercano di scappare.

Come dobbiamo prenderla allora questa minaccia di guerra: fa parte della propaganda a cui ci aveva abituato il regime o è qualcosa di più grave?

Siamo alla propaganda ma potrebbero innescarsi degli effetti domino. Molto dipenderà dalle elezioni americane e dagli atteggiamenti di Trump: se ci fosse un disimpegno di tipo isolazionista rispetto al resto del mondo ci potrebbero essere conseguenze in molti teatri. Molti dittatori sono in trepida attesa delle elezioni americane, anche Kim Jong-un: ogni tanto Trump dice che lo considera un amico.

(Paolo Rossetti)

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