A inizio settimana, dalle colonne del Financial Times, sono arrivate dichiarazioni importantissime di Laurence Boone, capo economista dell’Ocse, secondo cui l’impatto economico della pandemia dovrebbe portare a un cambiamento nell’atteggiamento dei Governi rispetto alla spesa pubblica e al debito, anche per evitare il rischio di una rivolta popolare. Boone invita i Paesi ad abbandonare l’idea che ci possano essere regole fiscali uguali per tutti per riportare il debito pubblico verso un determinato target, a continuare a mantenere la spesa pubblica più alta e le tasse più basse per aiutare la ripresa dell’economia e la diminuzione della disoccupazione e a non ripetere l’errore compiuto immediatamente dopo il 2009, quando sono stati ritirati troppo in fretta gli stimoli all’economia. Per Gustavo Piga, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma, si tratta di parole molto importanti e indirizzate specificatamente all’Europa.



Professore, perché le parole di Laurence Boone sono così importanti?

Anzitutto perché non arrivano dall’esponente di un partito rivoluzionario marxista, ma dal capo economista di una delle organizzazioni internazionali più importanti, l’Ocse, che nello scorso decennio ha sostenuto la necessità che i Paesi assicurassero stabilità tramite politiche fiscali restrittive piuttosto che espansive. C’è quindi il segnale di una svolta a 180 gradi e questo è estremamente importante per quanto si dibatte nelle stanze ovattate del potere: quale sia la politica economica giusta da adottare in questa fase in cui si comincia a intravedere un’uscita dalla fase pandemica più acuta. Ritengo poi che siano parole importanti perché contengono concetti mai ascoltati presso il Fmi o la Banca mondiale, ma soprattutto presso la Commissione europea o i ministeri dei Tesori o delle Finanze dei Paesi dell’Ue.



Perché dice questo?

Non ho mai sentito un economista dell’Ocse parlare di rischio di rivolta dei cittadini. E in un certo senso è anche inedito il fatto che parli dell’essenza fondamentale che deve avere qualsiasi tipo di politica economica, ovvero la democraticità e l’attenzione ai cittadini e alle loro sofferenze.

Possiamo analizzare meglio il passaggio sulla rivolta popolare?

Trovo che sia collegato strettamente al tipo di politica raccomandato dalla Commissione europea. Boone dice infatti che ci sarebbe una rivolta nel caso di austerità dovuta al rientro del deficit e del debito ai livelli pre-Covid. La capo economista dell’Ocse esorta anche a evitare di ripetere l’errore compiuto subito dopo la crisi del 2009. Se ci pensiamo bene, proprio nel 2010 e 2011, anni da lei esplicitamente citati, in Europa, mentre stavano cominciando a sparire gli effetti della crisi, si mise a punto il Fiscal compact e si cominciarono ad attuare politiche fiscali restrittive che hanno poi dato origine a una crisi che è stata più duratura. C’è anche da notare che Boone spiega come evitare lo stesso errore del passato.



Cosa andrebbe fatto?

Abbandonare gli obiettivi di rientro del debito uguali per tutti. È chiaro quindi che nelle sue parole c’è un messaggio rivolto all’Ue, anche perché non ci sono altri Paesi che hanno già in programma un rientro così rapido nei prossimi anni. Bruxelles, infatti, raccomanda a tutti, Italia compresa, esattamente l’opposto di quello che dice Boone, perché già dal 2021 inizia la manovra per ridurre il debito tramite una contrazione del deficit/Pil addirittura del 7% in tre anni, come scritto nella Nadef. Sono numeri chiaramente voluti dall’Europa e che spiegano perché Gualtieri trema quando sente Renzi che chiede investimenti aggiuntivi, che farebbero crescere il disavanzo, con le risorse a prestito del Recovery fund. Anche se poi il leader di Italia Viva è assolutamente d’accordo con il ministro dell’Economia per quanto riguarda i numeri contenuti nella Nota di aggiornamento al Def.

C’è da notare anche il fatto che le dichiarazioni di Boone arrivano una settimana dopo quelle di Gentiloni che ha detto di ritenere necessaria una discussione tra i Paesi dell’Ue per arrivare a nuove regole fiscali e che ha assicurato che il Patto di stabilità e crescita resterà sospeso per tutto quest’anno.

Certo oggi il Patto di stabilità e crescita è “silente”, tanto che abbiamo potuto superare il 10% di deficit/Pil nel 2020. Tuttavia, il Fiscal compact è vivo e vegeto e agisce sulle aspettative degli operatori economici. Se un imprenditore guarda alla Nadef vede che nei prossimi tre anni è programmata una riduzione del deficit/Pil pari al 7%, cioè a circa 120 miliardi: è chiaro che non è incentivato a investire. Il Fiscal compact cesserebbe di esistere nel momento in cui si seguissero le raccomandazioni di Boone che dice chiaramente che bisogna mantenere una politica fiscale espansiva.

In che modo?

Per esempio, il deficit, ormai bloccato dalla Legge di bilancio al 7% del Pil per quest’anno, deve rimanere a tale livello anche negli anni successivi. Il che permetterebbe di usare i fondi a prestito del Recovery fund per fare investimenti. Bisogna infatti pompare dentro l’economia risorse per un tempo che va ben al di là della momentanea iniziale crisi. Non a caso Boone parla di evitare l’errore del post-2009. Se l’Europa continua invece sulla strada che ha tracciato chiude la porta alle speranze di ripresa per tutto il decennio. Il che non potrà che portare a forti cambiamenti politici, non a caso si parla di rivolta, cioè rovesciamenti tra opposizione e maggioranza tali da cambiare drasticamente il connotato politico, e dunque l’orientamento verso l’Europa, dei singoli Paesi. C’è poi un punto importante dell’intervista alla capo economista dell’Ocse da evidenziare.

Quale?

Quello in cui spiega che la sostenibilità del debito dipende anche dalla fiducia nelle istituzioni, dal fatto che i politici manterranno le loro promesse. È un concetto rilevantissimo che ricorda che i mercati non guardano solo i numeri e che spiegano perché il Giappone riesce a rifinanziarsi nonostante il suo livello di debito/Pil ben sopra il 200%. Se l’Europa dice chiaramente che le risorse del Recovery fund vengono usate per investimenti pubblici fatti bene, che rendono quindi possibile una crescita del Pil superiore a quella del debito, è chiaro che i mercati non hanno nessun problema a finanziare debiti di questo tipo, perché sanno che c’è una politica responsabile dietro. Quelle di Boone sono parole importanti: se l’Ocse arriva a dire queste cose vuol dire forse che la situazione è molto grave e c’è una fortissima preoccupazione non riguardo il fatto che i Governi stiano spendendo troppo, ma che stiano spendendo poco o non stiano discutendo a sufficienza di come spendere di più e meglio.

Se non basta la sospensione del Patto di stabilità, cosa bisogna fare in Europa?

Boone risponderebbe che ci vorrebbe un nuovo patto fiscale con regole fondate sulla presa d’atto che ogni Paese conta e ha una situazione diversa dagli altri, quindi non possono essere uguali per tutti. Si dovrebbe anche esplicitare che in momenti di difficoltà gravi, come già ci sono stati – grazie anche al Fiscal compact che ha anticipato l’arrivo delle crisi, anziché evitarle -, bisogna lasciare alla politica fiscale, ancor più che alla politica monetaria, un ruolo centrale basato su un utilizzo ottimale da parte dei Governi delle risorse avute dai cittadini. E qui arriviamo al vero ruolo che potrebbe avere l’Europa.

A che cosa si riferisce?

A un ruolo che manca ancora adesso nel Recovery fund, anche se è in un certo senso “minacciato”. L’Europa dovrebbe garantire ai singoli Governi un monitoraggio della spesa delle risorse, non paventare la possibilità di bloccarla. E sul controllo della qualità della spesa sicuramente l’Italia potrebbe avere un grande aiuto dall’Europa. Chiaramente il nostro Paese dovrebbe però già avviare un programma di riqualificazione della capacità amministrativa, mettendo molti giovani competenti a capo delle strutture chiamate a indire gare, fatte bene, in modo che non ci siano ricorsi e le aziende selezionate siano le più capaci e in grado di portare a termine nei tempi dovuti e senza difetti i progetti.

Quanto conta il passaporto di Laurence Boone? È francese come Christine Lagarde…

…E come Olivier Blanchard, ex capo economista del Fmi, che negli ultimi tempi ha diffuso tesi molto simili. Per certi versi c’è una sorta di “troika alla rovescia” francese. A me necessariamente non dispiace, visto che purtroppo l’Italia non ha mai fatto parte del tavolo di coloro che decidono qual è la politica per l’Europa, ma invece di quelli che la subiscono. Se avremo quindi un attore al tavolo franco-tedesco che spinge con maggiore enfasi per dei cambiamenti alla politica fiscale dell’Ue nella direzione indicata da Boone non potremo che beneficiarne. Tra l’altro ci avviciniamo ad appuntamenti elettorali importanti sia in Germania che in Francia e forse questo è il momento ideale per cercare di dare vita a quel nuovo patto fiscale di cui parlavo prima.

(Lorenzo Torrisi)