Si è tenuta in questi giorni una riunione del Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica e il controllo dei Servizi segreti) con la presenza del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Si è parlato della situazione internazionale, con particolare riferimento alle crisi in Ucraina, in Sahel e in Etiopia. Adolfo Urso, presidente dell’organo parlamentare, ha sottolineato il momento drammatico che si sta vivendo in Africa, dove “il Sahel è l’area di maggiore espansione del terrorismo islamico, dopo la caduta di Kabul, terra di conquista dello jihadismo”. Altrettanto grave la situazione in Etiopia e Corno d’Africa, “regione strategica per l’Italia e l’Europa”.
Il Sahel, in particolare, desta preoccupazione per il parziale ritiro francese dopo il fallimento della missione militare, e il sempre maggiore interesse di attori internazionali “non occidentali”, come la Russia, già presente sul terreno, a cui va aggiunta adesso anche la Turchia, “che però è un paese membro della Nato” ci ha detto in questa intervista Marco Di Liddo, responsabile dell’Area Geopolitica e analista responsabile del Desk Africa e del Desk Russia e Balcani del Cesi (Centro Studi Internazionali). “Gli occhi di tanti paesi sono ormai da tempo su questa regione”, ci ha detto ancora, perché “il Sahel costituisce la frontiera meridionale della regione del Mediterraneo, dove operano contingenti militari italiani insieme a quelli francesi. La debolezza di questi ultimi sta aprendo una vera e propria corsa al predominio regionale”.
Il Copasir ha denunciato l’instabilità del Sahel, dove potenze non occidentali e la Turchia starebbero approfittando della debolezza francese. A quale scenario siamo davanti?
Attenzione a distinguere le cose. Non si può includere la Turchia tra le potenze non occidentali, perché la Turchia, in quanto membro Nato, è per forza di cose parte del mondo occidentale. Il Sahel da tempo è oggetto di interesse di numerosi Paesi arabi, dagli Emirati Arabi al Qatar. La Turchia si è allineata a questi nel momento in cui hanno visto sfaldarsi la posizione dominante francese. Così come anche i russi, che sono già presenti militarmente con la milizia Wagner in diversi paesi.
Che cosa significherebbe per il Sahel la presenza turca?
La Turchia è già presente in Somalia, nel Corno d’Africa e in Libia. Il Sahel sarebbe il completamento di questa infiltrazione. A differenza della Russia, paese che si limita a stringere accordi con i regimi in carica inviando forze militari in cambio dello sfruttamento delle risorse energetiche, la Turchia si porta dietro anche un modello ideologico, quello islamista, pan-ottomano, che favorisce i gruppi politici con la stessa visione.
C’è quindi il pericolo che Ankara sostenga le formazioni jihadiste presenti nel Sahel, così come accaduto in Siria, con il sostegno turco all’Isis?
Non è esatto dire che la Turchia abbia sostenuto Isis. La Turchia si è mossa in Siria in funzione anti-curda e anti-Assad, e questa è da sempre la sua politica. In un certo periodo avrebbe poi approfittato dal punto di vista economico della situazione, favorendo il contrabbando del petrolio del Califfato islamico, ma per puro interesse economico.
La Francia, a parte il nostro sostegno, sembra abbandonata a se stessa. È vero che gli Stati Uniti non sono interessati ad alcun tipo di intervento nella regione?
Gli Stati Uniti sono presenti in quella parte dell’Africa sin dopo l’11 settembre 2001, con missioni come War on terror e Enduring freedom, dove hanno dislocato forze militari e missioni anti-terroristiche. Non sono interessati a un impegno politico, anche perché gli Stati Uniti non sono mai intervenuti a questo livello in Africa e in questo senso si può dire che la Francia sia stata lasciata sola.
Quindi che futuro possiamo immaginare per il Sahel?
Il problema sta soprattutto nel nostro comportamento. In Occidente abbiamo un atteggiamento diplomatico piuttosto ipocrita. Ci riempiamo la bocca di paroloni come difesa dei diritti umani e sostegno dei regimi democratici, ma poi interveniamo solo in quei paesi dove ci sono regimi a noi favorevoli e che ci interessa tenere in piedi. È per questo che quei paesi africani ci odiano ormai profondamente e si stanno rivolgendo a paesi non occidentali, perché hanno capito il nostro modo di agire, dettato da puro interesse e non per un autentico sostegno alla democrazia e alle popolazioni locali.
(Paolo Vites)
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