Sta diventando oramai una considerazione ripetitiva, come un disco rotto o una chiacchiera da bar: “Questo caldo è eccessivo! Non abbiamo l’acqua che ci serve…”. Sì, è vero, la cosa si ripete sempre di più e la noia sopravviene ai più, come nel caso delle guerre che insanguinano il nostro pianeta. Tuttavia, è proprio questa ripetitività che ci dovrebbe allarmare oltre misura. Se un’ondata di calore capitasse una volta ogni venti anni, chi si dovrebbe veramente preoccupare? Rientrerebbe nelle normali fluttuazioni climatiche a scala più o meno locale e nessuno la metterebbe nell’agenda delle cose a cui si deve fare attenzione. Le cose, però, non stanno così, ahinoi.
Deviazione della temperatura media di maggio 2022 rispetto al valore medio 1991-2020. Si noti che le temperature sono in chiaro aumento. [dati CNR-ISAC]
Se visitiamo il sito web dedicato al monitoraggio climatico del nostro Paese dall’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche, vediamo chiaramente che le anomalie di temperatura sono piuttosto rilevanti. In buona sostanza anche l’Italia segue l’andamento delle temperature in rialzo su scala globale a causa dei cambiamenti climatici.
D’accordo, mi direte, ma questo lo sapevamo e quindi dov’è la novità? La novità, a essere onesti, non è questa. Tutti sappiamo che l’estate è calda e negli ultimi anni è successo che le temperature sono molto alte già all’inizio della stagione estiva. Poi magari si regolarizzano un poco oppure no, dipende. La novità allarmante per noi è un’altra: la siccità. È di questo che vogliamo parlare per capire meglio.
Il fiume Po è in secca, ma per davvero. È dal 1952 (ben 70 anni!) che non si registrava una secca di queste proporzioni, cioè dall’anno successivo all’alluvione del novembre del 1951. La crisi idrica sta già colpendo circa 125 comuni con autobotti che stanno garantendo un minimo di approvvigionamento di acqua potabile, e siamo solo all’inizio dell’estate. La portata dell’acqua del fiume da 450 metri cubi al secondo è precipitata intorno a 300, una catastrofe per l’agricoltura e poi per la popolazione.
Quali sono gli effetti immediati? Il primo è il “cuneo salino” che entra insieme alla marea nel letto del fiume; un disastro, perché il sale “brucia” le colture e desertifica i terreni. L’agricoltura registra un 40% di produzione in meno; colture tradizionalmente non irrigue (es. aglio e grano) quest’anno hanno già dovuto essere irrigate, pena la perdita del raccolto. La produzione di energia ne risente per un buon 55%. La pesca è grandemente influenzata a causa di varie ragioni, incluse le alghe.
Cosa sta succedendo? Semplice: non è piovuto in quantità sufficiente, anzi non è quasi piovuto (o nevicato) per nulla. Negli scorsi quattro mesi sono cadute meno del 42% delle piogge attese normalmente nel periodo. In Piemonte, ad esempio, a maggio sono caduti 94 mm di pioggia contro un valore nella norma di 376 mm. Questi sono i fatti odierni e c’è poco da stare allegri.
La domanda che sorge a questo punto spontanea è: si tratta di un’anomalia legata alla situazione meteo-climatica del 2022 oppure c’è dell’altro? Ci dobbiamo preoccupare e “stringere la cinghia” solo quest’estate oppure la faccenda si sta complicando in modo quasi definitivo? Domanda difficile, ma qualche risposta possiamo pensare di darla e non è confortante.
La situazione è in netto peggioramento oramai da tempo. Comparando (dati Ispra) il trentennio 1920-1950 e quello in cui viviamo, si vede che la siccità estrema è cresciuta in modo tale da far concludere che l’acqua utile per gli usi dell’uomo è calata di circa il 19%. La previsione per il futuro è, poi, che la situazione peggiori ulteriormente, proprio per il continuo innalzamento delle temperature, con annessi e connessi. Un quadro da Paese che si sta, almeno in parte, desertificando. Sono troppo allarmista? Giudicate voi. Gli scenari climatici più estremi indicano che la disponibilità di acqua potabile potrebbe ridursi anche del 90% nel 2100: non siamo tanto lontani e la prospettiva di finire nelle condizioni del Sahel è tutt’altro che remota. Speriamo di no, ma i dati non sono tranquillizzanti.
Anomalia di temperatura per i mesi giugno-luglio-agosto rispetto al periodo di riferimento 1986-2005 nel bacino del Mediterraneo, proiettata fino al 2100. Le sigle si riferiscono a diversi modelli climatici e la banda contiene la variabilità tra i vari modelli. [Cos et al, 2022]
Anomalia di precipitazione per i mesi giugno-luglio-agosto rispetto al periodo di riferimento 1986-2005 nel bacino del Mediterraneo, proiettata fino al 2100. [Cos et al, 2022]
Perché tutto questo? I modelli climatici ci forniscono scenari abbastanza precisi, anche se più studi sono richiesti. In generale, precipitazioni più intense sono attese sulla maggior parte dei continenti tranne alcune regioni specifiche dove i modelli mostrano un robusto declino dei valori. Tra queste regioni ecco il bacino del Mediterraneo che spicca per notevole magnitudine del declino delle precipitazioni invernali. Localmente, anche fino al 40% della precipitazione invernale potrebbe andare perduta su base regolare ponendo condizioni di stress senza precedenti sulle risorse idriche, proprio come si sta vedendo in questi giorni.
Non è completamente chiara la motivazione scientifica di questo fenomeno. Le ipotesi riguardano il cambiamento della circolazione atmosferica a livello regionale, dominato da “ridge” atmosferici anomali, cioè dal permanere di estese aree di alta pressione alle latitudini medio-alte che tengono lontani i sistemi depressionari associati alle precipitazioni della stagione fredda. Tuttavia, l’origine di queste zone anticicloniche è tuttora circondata da un alone di mistero. Una delle ragioni è la conformazione del bacino del Mediterraneo circondato da montagne che hanno un impatto sulla distribuzione delle zone di alta e bassa pressione atmosferica, fino a creare la situazione più sfavorevole, una sorta di “tempesta perfetta” alla rovescia. Studi recenti hanno mostrato come due concause indipendenti stanno presumibilmente dietro a questi cambiamenti mediterranei: da un lato cambiamenti robusti nel flusso atmosferico nell’alta troposfera e dall’altro la riduzione del gradiente di temperatura regionale mare-terra caratteristico della regione. Occorrono maggiori sforzi modellistici, ma queste sembrano le cause principali.
Fin qui la scienza e ciò che bene o male sappiamo, anche se con qualche incertezza. Dobbiamo probabilmente rassegnarci a condizioni di approvvigionamento idrico più scarso e a temperature più alte. Sì, bene, ma che influenze ha questo fatto incontrovertibile sulla nostra vita?
Purtroppo, ha influenze molto spiacevoli. Il nostro Paese è caratterizzato da una gestione delle risorse idriche non esattamente ottimale. Cifre recenti dicono che annualmente sprechiamo per uso civile circa 5,2 miliardi di metri cubi di acqua su 9 disponibili, che non sono pochi. Il problema è eminentemente gestionale e questo è già vero in condizioni “normali”. Il cambiamento climatico non può che aggravare tutto ciò, va da sé.
I rischi che corriamo sono molto elevati e paragonabili a quelli che hanno portato alla desertificazione di interi laghi africani o del Mar Caspio. Se non facciamo immediatamente mente locale e vediamo di investire di più e meglio sulla risorsa idrica, potrebbe essere tardi già nel giro di qualche anno (pochi peraltro). Se a Pontelagoscuro (Ferrara) l’Autorità di Bacino del Fiume Po misura una portata del 90% inferiore alla media, la faccenda è sicuramente seria. Occorre fare qualcosa, ma non se ne sente troppo parlare e questo è un male. Ci preoccupiamo di tanti problemi, ma questa è una delle ipoteche più formidabili sulla vita nostra, dei nostri figli e dei nostri nipoti.
Occorre usare l’acqua in maniera più attenta e consapevole, anche a livello personale. Non è questa la sede per indicare buone pratiche, ma possiamo facilmente pensare a quali siano a partire dalla necessità di smettere di fare docce di mezz’ora come se non ci fosse un domani. Il domani è già alla porta di casa, purtroppo.
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