L’Unione europea è finita nella trappola del Comma 22. Nel romanzo di Joseph Heller diventato un film di successo, il titolo si riferisce al regolamento militare per i piloti americani durante la Seconda guerra mondiale. Il Comma 22 recitava così: “Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo”. È il filo conduttore dell’intera storia. Ebbene, il combinato disposto di conflitti tra gruppi politici e tra Governi dei diversi Paesi, sta bloccando il varo della nuova Commissione europea. Intanto l’economia dell’Unione scivola verso una sostanziale stagnazione. La debolezza del Governo europeo impedisce di mettere in atto misure che stimolino la crescita. Ma senza crescita diventa sempre più difficile, se non impossibile, raggiungere un equilibrio a Bruxelles che consenta di trovare un comune denominatore e di mediare tra i legittimi interessi nazionali e la competizione tra le forze politiche.
“Il mondo non aspetta la Commissione”, ha ammonito amaramente il commissario Gentiloni. Mentre il Governatore della Banca d’Italia Panetta non smette di lanciare un allarme preoccupato sull’impatto del nuovo protezionismo sul commercio internazionale e sui dazi che Donald Trump ha minacciato. L’Unione europea ha un’economia aperta nella quale le esportazioni hanno un ruolo determinante, molto più che negli Stati Uniti. È evidente, dunque, che l’Ue sarebbe penalizzata forse ancor più della Cina che ha ancora un ampio mercato interno da alimentare, un mercato che non è saturo come quello europeo.
Il circolo vizioso da Comma 22 è a sua volta peggiorato da una politica monetaria che non aiuta la crescita. E’ un altro tasto sul quale Panetta non smette di battere. La Bce ha reagito in ritardo all’ondata inflazionistica, ma poi ha stretto i cordoni della borsa più rapidamente della Federal Reserve, anche se gli Stati Uniti hanno continuato a crescere a un ritmo doppio rispetto all’Eurolandia. La dinamica dei prezzi è stata frenata più bruscamente che negli stessi Stati Uniti e il divario di crescita si è persino ampliato: le previsioni autunnali della Commissione Ue pubblicate venerdì vedono un prodotto lordo che aumenta dello 0,8% quest’anno rispetto al 2,7% negli Usa. Il tasso di disoccupazione è al 4% negli States al 6,3% nella zona euro, ma questa percentuale è destinata ad aumentare visto quel che sta accadendo in Germania e più in generale nell’industria dell’auto che è il cuore pulsante della manifattura europea.
Le proiezioni europee di qui a due anni non sono tali da cambiare lo scenario. Il Pil dell’Eurozona dovrebbe aumentare dell’1,6% nel 2026 con differenze non irrilevanti tra i diversi Paesi. L’Italia che cresce dello 0,7% secondo la Commissione e non dell’1% come ancora prevede il Governo, dovrebbe arrivare a un modesto 1,2% meno della Spagna che passa dal 3% al 2,1%, della Francia che recupera dall’1,1% all’1,4% e della Germania che risalare dal segno meno del 2024 all’1,3% nel 2026. Si può continuare nel gioco dei paragoni, ma in ogni caso e in ogni dove siamo su livelli molto modesti.
Come si può pensare di affrontare le enormi sfide da far tremare i polsi analizzate dal Rapporto Draghi? Si può davvero pensare che sia possibile investire quegli 800 miliardi di euro l’anno dei quali ci sarebbe bisogno per affrontare la transizione ambientale, digitale, industriale in senso lato? Un’Europa in ristagno, con un equilibrio politico precario che si rispecchia sia nel Parlamento sia nell’Esecutivo, e una Commissione paralizzata dai veti incrociati, è molto più debole anche quando si rivolge al mercato per attirare capitali.
Questo momento particolarmente difficile affida di fatto un compito fondamentale alla Bce. Certo la banca centrale è indipendente, il suo mandato è la stabilità finanziaria, non spetta a lei condurre la politica fiscale né, tanto meno, quella industriale. Soprattutto non ragiona con una logica di partito o nazionale. D’accordo. Ma la Bce è l’unica vera istituzione pienamente europea.
Di fronte alla paralisi politica e istituzionale della Commissione, mentre dall’altra sponda dell’Atlantico arriva il terremoto Trump, con la guerra in Ucraina più lacerante che mai, con l’instabilità militare e non solo politica che cresce in tutto il mondo, governare la moneta è determinante. Oggi la politica monetaria in Europa non può che essere espansiva e deve dare una vera e propria spinta alla crescita.
Quella dei banchieri è un’arte diceva Raffaele Mattioli, lo è ancor più quella del banchiere centrale. Non può farsi guidare da schemi rigidi, da norme astratte, da algidi algoritmi e nemmeno dall’intelligenza artificiale che pure può essere d’aiuto. Ha bisogno di competenza, di esperienza, di fiuto, di intuizione, di immaginazione, di coraggio. Insomma di intelligenza umana fino in fondo.
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