“Senza gas è recessione”: parola di Ignazio Visco, intervistato da Cnbc. Ma il Governatore della Banca d’Italia non si è limitato a spiegare le possibili conseguenze sull’economia italiana di un embargo sulle materie prime russe. “È molto probabile”, ha aggiunto, che la Bce decida di concludere a giugno gli acquisti netti di titoli con il programma App. A quel punto, però, “la questione è cosa faremo sui tassi”, che potrebbero essere alzati, e una decisione in tal senso potrebbe arrivare “durante il terzo trimestre, potrebbe essere a fine anno, ma deve essere graduale”, obbedendo a tre criteri: “gradualismo, opzionalità e flessibilità”. Quanto all’inflazione, Visco ha sottolineato che al momento nell’area euro non si osservano aggiustamenti sui salari “sufficientemente veloci” per “disancorare le attese di inflazione”, ma è necessario “monitorare attentamente, data l’estrema incertezza degli sviluppi sulla guerra, i suoi effetti sui prezzi e sulla disponibilità di energia”.



Alla luce di queste non certo positive eventualità e di questa vigile prudenza, che cosa potrà accadere all’economia italiana? Possiamo reggere a tagli di forniture, sanzioni, chiusura dell’ombrello Bce, rialzo dei tassi, euro debole e inflazione? È consapevole il governo di questo nuovo scenario? Ci stiamo attrezzando alla bisogna? Ne abbiamo parlato con Gustavo Piga, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma, secondo il quale “siamo prigionieri di una logica malata di politica economica”, che potrebbe portarci dentro “una trappola mortale”.



Il governatore Visco ha dichiarato che, in caso di stop alle forniture di gas russo, c’è il rischio di una “flessione moderata del Pil nel 2022 e nel 2023”. Possiamo parlare di recessione? Con quali effetti sulla crescita?

È giusto chiarire subito che in Italia una certa dose di recessione già ci stava prima di questi nuovi scenari bellici.

Fa riferimento alla nostra performance di crescita pre e post-pandemia?

Esatto. Se guardiamo la dinamica della crescita tra la fine del 2019 e la fine di quest’anno, in base alle stime del Fondo monetario internazionale, siamo l’unico Paese fra tutti quelli sviluppati ad avere il segno “meno”: -0,1%.



E gli altri Paesi?

Tenga conto che in questo triennio gli Stati Uniti crescono del 6% e l’area euro dell’1,7%. L’Italia invece è l’unico Paese che non è riuscito a recuperare il valore della produzione pre-Covid. Quindi l’Italia già era, pesantemente e incredibilmente, in una recessione.

E adesso?

È vero che eventuali ulteriori sospensioni o un blocco totale di forniture di gas russo avranno un impatto drammaticamente simile a quello cui accenna il governatore Visco, con numeri negativi anche per il solo 2022 e/o 2023, ma solo a una condizione.

Quale?

Che la politica fiscale rimanga immobile e non venga utilizzata a sostegno dell’economia. Ma nessuna persona ragionevole potrebbe pensare che, di fonte a una crisi di tale portata, la politica fiscale rimanga ferma, se non fosse che, purtroppo, questo governo ha già stabilito un incredibile precedente negativo, rendendo più pessimistiche le aspettative degli operatori, perché un calo drammatico di crescita lo abbiamo avuto nel Def di aprile rispetto a quello di ottobre.

Lo dicono i numeri?

A ottobre veniva stimata una crescita 2022 a +4,7%, poi ad aprile il governo, in maniera ottimistica rispetto al Fmi, ha scritto che dovevamo adattare le nostre aspettative di crescita a un +3,1%, ma lo stesso Fondo monetario ha smentito questa previsione con un molto più pessimistico +2,3%.

A quel punto che cosa ha fatto il governo?

Ha lasciato tutti i numeri di finanza pubblica immutati, come se nulla fosse successo e ci trovassimo ancora in un mondo pre-guerra. Non è un segnale incoraggiante sulla capacità del governo di capire quale sia la posta in gioco: rischiamo un dissenso sociale molto forte. Spero che il governo ritrovi il senno della ragione qualora dovessimo trovarci di fronte a scelte della Russia come quelle adottate contro Polonia e Bulgaria.

L’economia italiana può reggere il peso delle sanzioni alla Russia?

Non credo che le sanzioni siano il vero problema. Piuttosto lo saranno le reazioni della Russia a queste sanzioni. Se Mosca decide che l’Italia è un target delle sue ritorsioni sull’energia, a quel punto sarebbe un problema immenso, nell’immediato, per i settori energivori, poi a cascata per tutti i grandi gruppi industriali e per le Pmi.

Secondo le stime preliminari dell’Istat, l’inflazione ad aprile è arrivata al +6,2% anno su anno. Con l’euro debole può ricevere ulteriore spinta? Avremo un effetto su consumi e salari?

Noi spesso ricorriamo a riferimenti impropri con l’inflazione Usa “core”, quella al netto dei trend molto mutevoli dei prezzi di beni alimentari ed energia.

Perché?

In Europa questa inflazione “core” è bassissima, molto più che negli Stati Uniti. Quindi, rispetto agli Usa, c’è una domanda di sistema che le imprese possono ancora assorbire con le quantità e non con i prezzi. Parlare adesso di un timore per l’inflazione importata quando quella “core” non c’è, è puro masochismo, di fronte poi a una situazione generale molto grave che richiede come sia la politica monetaria, sia la politica fiscale pensino in prima battuta a occupazione e produzione piuttosto che a contenuti aumenti dei prezzi. Con una postilla importante: oggi più che la politica monetaria sono le politiche fiscali la vera questione da affrontare.

Partiamo però dalle politiche monetarie, perché il governatore Visco prevede che la Bce potrebbe chiudere l’acquisto di titoli a giugno e poi alzare i tassi nel terzo o quarto trimestre, seppure in modo graduale. Cosa succederà all’economia italiana e ai nostri conti pubblici da qui a fine anno? Come dobbiamo prepararci a questa eventualità?

Partiamo dalla spesa pubblica per interessi, che può creare un circolo vizioso e un cortocircuito. Se confrontiamo i numeri dei conti pubblici presentati da questo governo ad aprile con quelli di ottobre, si nota come, in questo scenario già molto più drammatico portato dalla diminuzione delle aspettative di crescita al +3,1%, la spesa per interessi sul Pil salirà nel 2022 dal 2,9% al 3,5%.

C’era da aspettarselo, non crede?

Certo, ma la stranezza nei conti pubblici di Draghi sta nel fatto che, a fronte di questo incremento della spesa per interessi, il deficit rimane esattamente lo stesso di ottobre, pari al 5,6%. E ciò spiega come ragiona questo governo: se la spesa per interessi sale, il mio unico obiettivo è tenere fisso il deficit, ma per farlo devo aggiustare, rendendolo ancora più austero, il saldo primario, ossia la differenza fra spesa al netto degli interessi e tassazione.

Cosa mostrano i conti del governo?

Il saldo primario passa dal -2,7% al -2,1%. Tutti invece si aspetterebbero che in questo scenario difficile si allargassero i cordoni della borsa, agendo sul deficit, per aiutare l’economia e venire incontro alle sofferenze delle imprese prima che siano costrette a chiudere definitivamente i battenti. Però il governo non lo fa, perché l’unica cosa che gli interessa è tenere fermo il deficit e, paradosso dei paradossi, lo fa ricorrendo a una maggiore austerità.

Cosa dobbiamo allora aspettarci in caso di rialzo dei tassi?

Guai serissimi. Siamo prigionieri di una logica malata di politica economica, che trasforma l’aumento degli interessi in una trappola mortale.

Secondo lei, quindi, davanti a questo scenario, nel secondo semestre serviranno nuovi scostamenti di bilancio e aggiustamenti della politica fiscale?

Sì e in misura abbondante. Non è più tollerabile questa incapacità a usare la politica fiscale.

In che direzione?

È vero che già adesso sono previsti pre-scostamenti per dare sollievo alle impese più energivore, ma è ovvio che in uno scenario di guerra destinata a protrarsi occorrerà aumentare il deficit. Considerata, poi, la lentezza con cui procede il Pnrr, sarà anche necessario immettere nel sistema un’ulteriore serie di spese immediatamente cantierabili per dare lavoro soprattutto alle fasce più deboli, specie del Mezzogiorno, l’area più in sofferenza. Altrimenti, con un’instabilità sociale già oggi molto diffusa e radicata, potrebbe essere proprio l’Italia a mettere seriamente a rischio la costruzione europea.

(Marco Biscella)

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