Parigi fa squadra con Berlino per l’idrogeno. “Non rifacciamo l’errore fatto con i pannelli fotovoltaici. E’ stata affondata l’industria europea dei pannelli solari a beneficio di quella cinese sovvenzionata con i nostri sussidi statali, ha dichiarato Bruno Le Maire, domenica scorsa nel corso di un talkshow accennando al progetto francese sull’idrogeno nell’ambito di France Relance, il piano governativo da 100 miliardi di rilancio economico che va a destinare 7,2 miliardi alla capacità generativa di idrogeno per portarla a 6,5 GW nel giro di 10 anni.



Il ministro francese dell’Economia incontrerà venerdì Peter Altmaier, suo omologo tedesco, per ufficializzare una nuova filiera industriale franco-tedesca che possa essere protagonista nella competizione globale.

Indicata come l’energia dell’avvenire della Francia, il governo Macron s’impegna non solo a sviluppare una produzione d’idrogeno verde redditizio, ma anche per la sua diffusione capillare nei trasporti pesanti, scommettendo sulla parità di costo con il diesel entro il 2030.



Di idrogeno come combustibile alternativo si parla dai tempi del primo shock petrolifero, poi è tornato di moda all’inizio del millennio con il best seller di Jeremy Rifkin “Economia dell’idrogeno”, che fece molti proseliti (l’autore è stato temporaneamente anche tra i consulenti del governo giallo-verde) e fece spendere in modo spropositato rispetto agli inesistenti risultati ottenuti. Si è ripreso a parlare di idrogeno a Bruxelles con la proposta di una Hydrogen Strategy comunitaria che portasse la quota del vettore idrogeno generato da rinnovabili da zero a un quarto della domanda di energia.



Celebrato anche da Fatih Birol, direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia Iea, che sostiene che l’idrogeno può avere un ruolo chiave nella transizione globale verso l’energia pulita, va chiarito che l’idrogeno non è una fonte, ma un vettore energetico prodotto mediante l’elettrolisi dell’acqua, un processo nel quale il passaggio di corrente elettrica causa la scomposizione dell’acqua in ossigeno e idrogeno gassoso. Se l’energia necessaria (allo stato attuale, è un procedimento energivoro) proviene da fonti rinnovabili e nucleare, nel piano francese questa è l’ipotesi, allora otteniamo dell’idrogeno verde, o come prudentemente preferiscono chiamarlo i cugini d’oltralpe: idrogeno decarbonizzato.

Il traguardo di una hydrogen economy è ancora lontano e costoso: per questo i 7 miliardi della strategia francese si sposano bene con i 9 miliardi tedeschi. Fondi neppure eccessivi, considerando tutti i passaggi richiesti: dalla ricerca sulle tecnologie di produzione efficiente e stoccaggio allo sviluppo di idrolizzatori su scala industriale, alla sperimentazione di uso di fonti rinnovabili (ora il processo produttivo per i 70 milioni di tonnellate prodotte nel mondo è alimentato da combustibili fossili).

Oltre ai trasporti pesanti (un terzo delle emissioni di CO2 nelle economie occidentali), tra i principali utilizzatori dell’idrogeno c’è anche l’industria pesante, la chimica, la metallurgia, le acciaierie. Ma uno dei ruoli primari assegnati all’idrogeno è quello di strumento di flessibilità per la rete elettrica, grazie allo stoccaggio delle fonti rinnovabili non programmabili: se le batterie appaiono, infatti, come la soluzione principe per le esigenze di bilanciamento di breve termine, gli impianti di elettrolisi possono invece dare una sostanziosa mano all’accumulo stagionale.

Se, nonostante tutti questi vantaggi, l’affermazione dell’idrogeno stenta, è per colpa del basso rendimento. La produzione di idrogeno per elettrolisi dell’acqua, e poi la sua ulteriore conversione in energia elettrica (utilizzando una cella a combustibile), sono due fasi in cui si disperde energia. Allo stato attuale delle conoscenze ad ogni passaggio si perde circa il 60%. Due terzi dell’elettricità iniziale si disperde nel processo. E un altro svantaggio dell’idrogeno è che è un gas infiammabile ed esplosivo.

Eppure, non salire sul treno dell’idrogeno, possibilmente su un convoglio europeo, sarebbe un errore di strategia energetica nazionale che rischia di ostacolare la transizione verso l’energia pulita e gli obiettivi climatici Ue di neutralità carbonica entro il 2050. Le aziende italiane, da Snam a Enel, lo capiscono, ma anche al Comitato interministeriale incaricato di smistare su progetti i 209 miliardi del Recovery fund?