Prima aerei cinesi hanno superato la linea mediana dello stretto di Taiwan venendo intercettati e rimandati indietro. Poi, nelle ultime ore, un elicottero antisommergibile e tre navi da guerra in avvicinamento all’isola dopo l’incontro della presidente Tsai con il presidente della Camera degli Usa Kevin McCarthy. Sono solo i più recenti episodi con i quali la Cina popolare tiene sotto pressione Taipei, in vista di una possibile aggressione che, secondo Pechino, avrebbe come obiettivo di riportare nella sua orbita quella che considera semplicemente una sua provincia. Il problema è che lì, a Taiwan, ci sono le più importanti fabbriche mondiali di microchip, essenziali per moltissime produzioni.
L’attacco paventato contro Taiwan potrebbe portare non solo a una crisi militare e politica, ma a mettere in croce l’intera economia mondiale. In questo scenario ha fatto capolino anche l’Italia che ha mandato l’incrociatore Morosini a navigare nell’Indo-Pacifico per una dimostrazione di libera circolazione che, anche se indirettamente, sostiene la democrazia dell’isola nata con Chiang Kai-Shek. Una situazione delicata, potenzialmente foriera di conseguenze inimmaginabili non solo per quell’area. Lo spiega Giuseppe Morabito, generale con al suo attivo diverse missioni all’estero, membro fondatore dell’Igsda e del Collegio dei direttori della Nato Defense College Foundation.
Da dove nasce il problema Taiwan? Ovvero perché la Cina Popolare rivendica quel territorio come suo?
Quando Chiang Kai-Shek si rifugiò sull’isola di Taiwan perché perse il confronto con il partito comunista cinese di Mao, l’esercito d liberazione si fermò sulle coste della Cina continentale: quel territorio è diventato la Cina Popolare, mentre Chiang Kai-Shek trasferì il governo della Cina nazionalista a Taipei. Per questo è chiaro che il governo della Cina Popolare, quello di Pechino, non ha mai governato Taiwan neppure per un giorno. Nel 1979 il presidente americano Jimmy Carter portò a termine un percorso iniziato da Nixon nel 1972 chiudendo i rapporti diplomatici con la Repubblica di Cina-Taiwan per aprirli con la Cina Popolare. La Repubblica di Cina-Taiwan però è rimasta una sorta di “protettorato” degli Stati Uniti perché è stato firmato un accordo di soccorso, secondo il quale Washington s’impegna a proteggere la democrazia dell’isola.
E come si è arrivati alla situazione attuale?
Taiwan non ha mai dichiarato l’indipendenza, ma ha vissuto come un Paese autonomo, in democrazia, tanto è vero che all’inizio dell’anno prossimo ci saranno le elezioni per stabilire chi succederà alla presidente Tsai, che dopo il secondo mandato non potrà più essere rieletta. Allo stesso tempo nel regime autocratico della Cina Popolare, Xi Jinping è già arrivato a imporre il suo terzo mandato. Successivamente all’accordo con gli Usa la Cina Popolare ha confermato una politica tesa a interrompere i rapporti diplomatici con le nazioni che li avevano con Taiwan, chiedendo che li intrattenessero solo con Pechino che, come detto, considera i 23 milioni di taiwanesi cittadini di una provincia. Ora sono pochissimi i Paesi che continuano ad avere rapporti diplomatici con Taiwan. In Europa l’unico Stato che li mantiene è la Città del Vaticano dove ha sede l’unica ambasciata nel Vecchio Continente.
Tutto il mondo però ha rapporti industriali con Taiwan perché sono i più grandi produttori di microchip, fondamentali per qualsiasi produzione industriale.
Taiwan, la cui economia è florida, è il maggiore produttore mondiale di microchip per quantità e per qualità. I rapporti commerciali di Taipei con gli altri Paesi sono tenuti tramite uffici di rappresentanza. L’Italia ha un ufficio di rappresentanza a Taipei, che viceversa ne ha uno a Roma.
Attualmente qual è la strategia della Cina?
La Cina Popolare da quattro o cinque anni ha intensificato le azioni di disturbo e le dimostrazioni di supremazia militare. Lo stretto di Taiwan ha una linea mediana e quasi quotidianamente aerei della Cina Popolare superano questa “barriera” entrando nello spazio aereo di Taiwan, che li intercetta e li fa tornare indietro con la massima attenzione a non creare incidenti che possano essere usati da Pechino come miccia per innescare un’escalation militare. In tale quadro va anche vista la conferma da parte del Pentagono che i palloni inviati dalla Cina Popolare sopra i cieli americani erano palloni spia, non meteorologici. Per questo sono stati abbattuti.
Perché in questi giorni si è tornati a parlare del contrasto tra le due nazioni?
La presidente Tsai si è recata in visita in due Paesi rimasti amici di Taiwan. È stata in Centroamerica, fermandosi negli Usa, anche se non erano previsti incontri ufficiali. La Cina Popolare si è dichiarata contrariata, minacciando ritorsioni nel caso in cui ci fossero stati incontri con rappresentanti Usa, perché non vuole che quella che considera una sua provincia abbia rapporti ufficiali con gli statunitensi. Ieri, comunque, la presidente Tsai ha incontrato il presidente della Camera dei rappresentanti americano Kevin McCarthy. Si tratta della prima volta in quaranta anni che il presidente di Taiwan incontra la terza carica del governo americano. Niente di male se si vive in democrazia!
L’Italia che ruolo sta giocando?
L’Italia ha inviato la nave Morosini nell’Indo-Pacifico, in una missione che avrà come obiettivo la dimostrazione che il nostro governo sostiene il principio della libera circolazione in quelle acque internazionali, fino a Singapore.
Il ministro della Difesa Crosetto contemporaneamente è stato in Giappone: perché?
Crosetto è stato a Tokyo anche perché il nostro Paese, insieme alla Gran Bretagna e al Giappone, sta pensando di costruire un caccia di nuova generazione. A latere della visita si è discusso anche della possibilità che la portaerei italiana Cavour con il suo gruppo navale di scorta faccia una rotta simile a quella della Morosini alla fine dell’anno o nel 2024. Un’ipotesi che è allo studio e implica una decisione condivisa ai massimi livelli di governo.
Cos’è, una sorta di piccolo “avvertimento” alla Cina popolare?
No, non vogliamo per forza leggerlo in tal modo, si tratterebbe di una missione di libera circolazione nelle acque internazionali.
Ma in qualche modo quest’azione supporta Taiwan?
Non direttamente, ma supporta la democrazia di Taiwan. Si può leggere, non in via ufficiale, come un indicatore che l’Italia è a favore della libera circolazione dei mari e anche della libertà dei singoli Paesi democratici.
Questa possibile aggressione di cui tanto si parla, quest’attacco della Cina Popolare a Taiwan, è imminente? I segnali di nervosismo sono tanti.
Sono anni che la Cina Popolare minaccia un’aggressione alla Repubblica di Cina-Taiwan e nell’ultimo Comitato centrale del Partito comunista cinese il presidente Xi, prima di farsi rieleggere per la terza volta, ha detto che uno dei suoi obiettivi è di riportare la “provincia” di Taipei sotto il controllo di Pechino. Per portare avanti quest’aggressione bisogna avere un’organizzazione militare che lo consenta. La Cina sta sviluppando il suo strumento navale, militare, di aggressione, bisognerà vedere se avrà il know how necessario e se converrà farlo, vale a dire se quest’attacco potrà essere remunerativo sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista di politica internazionale.
Taiwan risponderebbe. E comunque gli USA dovrebbero intervenire.
Anche il Giappone (e non solo) potrebbe intervenire a sostegno, così come la Nato, configurandosi un’aggressione simile a quella dell’Ucraina.
Taiwan dal punto di vista militare sta preparando le sue difese da tempo.
Taiwan è pronta e decisa a difendersi da una possibile aggressione e segue con massimo interesse quanto avviene in Ucraina a seguito dell’Operazione speciale russa. La strategia difensiva taiwanese è oggi denominata “Porcupine” (porcospino) e indica la volontà di non cedere se non combattendo fino all’ultima risorsa.
Un attacco del genere significherebbe una crisi economica mondiale, se non altro dal punto di vista della produzione dei microchip.
Il mercato dei microchip è un mercato importante perché potrebbe rallentare o bloccare tutto il processo industriale, danneggiando anche la Cina Popolare, che attualmente importa anch’essa microchip da Taiwan. Le più grandi aziende mondiali non potrebbero più produrre, ad esempio, auto, computer, telefoni cellulari, elettrodomestici, televisori, macchinari complessi. Se la Cina Popolare attaccasse, potrebbe poi essere sottoposta a sanzioni tipo quelle contro la Russia, rischierebbe di perdere i due mercati principali, gli Stati Uniti e il Nordamerica da una parte e l’Europa dall’altra.
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