Allevamenti intensivi, “Il mondo cambia, via a nuova alimentazione”

A Cartabianca si parla di allevamenti intensivi. Si parte da un servizio nel quale viene spiegato che i conigli rimangono dai 70 agli 80 giorni in gabbia, poi vanno al macello. Hanno uno spazio a disposizione che è come un foglio A4: in condizioni naturali devono avere almeno 50 metri quadri di spazio. Nel 2021 sono stati macellati oltre 15 milioni di animali, nonostante in Italia la carne di coniglio si consumi sempre meno. Le carcasse degli animali morti vengono portati nelle celle frigorifere: c’è un’altissima percentuale di mortalità, dal 10 al 30%.



Antonella Borrallevi, scrittrice, commenta così: “Questi documenti hanno un impatto molto forte nella nostra sensibilità di persone. Gli animali hanno emozioni, una sensibilità, e vederli in questa condizione è brutto. Non mangio molta carne ma sicuramente non ne mangerò più. Dobbiamo avere il coraggio di pensare che il mondo cambia. Siccome la scienza ci sta davanti una serie di altri alimenti, che sono sia alimenti sintetici, sia alimenti che impattano meno sull’ambiente, penso che dovremmo capire che così come non si mangiava il sushi prima, le abitudini alimentari cambiano”. Secondo Elisa Isoardi, “bisogna fare un passo indietro. Abbiamo la facoltà di scegliere. Tutti i prodotti sono tracciati, dobbiamo capire da dove arriva il prodotto”.



Allevamenti intensivi, “Non sono i modelli più confacenti alla nostra cultura”

Secondo il professor Valerio Rossi Albertini, “Ci stiamo adeguando a dei modelli che sono più confacenti a popolazioni che aumentano a dismisura. Ci siamo sempre sfamati senza confinare animali all’interno di gabbie”. Francesco Borgonovo de La Verità, dice: “Dobbiamo metterci d’accordo. O riduciamo in maniera consistente il consumo non solo di carne, ma cambiamo radicalmente le nostre abitudini. Secondo gli studi più recenti, il manzo, che sta al pascolo in un allevamento intensivo, produce più inquinamento perché ha bisogno di più spazio. Produce più gas serra. Il pollame è più efficiente dal punto di vista delle emissioni perché viene stipato e consuma meno. Uno studio dice che se tutti i cittadini americani diventassero vegetariani, le emissioni diminuirebbero del 5%”. Secondo Rossi Albertini, è un numero importante: “Sarebbe un progresso straordinario, altro che numero irrilevante”.



Secondo Bassetti, “più che cambiare il tipo di alimentazione, bisogna cambiare le regole. Quegli allevamenti producono batteri, infezioni. Quella mancanza di spazio e l’uso che si fa di antibiotici inquinano l’ambiente in maniera diversa. I batteri resistenti uccidono le persone. Nella realtà stiamo facendo grossi sforzi per usare bene gli antibiotici negli esseri umani ma non sugli animali. Bisognerebbe cambiare le regole”.