Il senso religioso sul palco dell’Ariston e Sanremo 2024 ha fatto il botto. Dico di Giovanni Allevi e della sua strepitosa, umile e vera testimonianza: due anni di grave malattia e la sorpresa di avere ricevuto, dall’esperienza della sofferenza, doni inaspettati e preziosissimi. All’artista era stato diagnosticato, nel 2022, un mieloma multiplo, tumore al midollo osseo.
“All’improvviso mi è crollato tutto – ha confidato Allevi –. Ho perso molto: il mio lavoro, i capelli e le mie certezze ma non la speranza e la voglia di immaginare. Era come se il dolore mi porgesse degli inaspettati doni”.
Il primo dono è stata la scoperta che non il successo o il risultato stabilisce il valore della persona. Capitò ad Allevi di notare con un certo disappunto una poltrona vuota, “oggi dopo la malattia non so che farei per suonare davanti a quindici persone. I numeri non contano, sembra paradossale detto da qui, perché ogni individuo è unico, irripetibile e a suo modo infinito”.
Unico, irripetibile e a suo modo infinito!
Grandioso. Le altezze a cui può arrivare un uomo sono forse quelle che raggiunge la musica. Non credo sia un caso che l’eccezionale sentire musicale sia compenetrato con il modo di sentire se stesso, come uno che ha perso tutto ma a cui il profondo del cuore riaccende la speranza.
Mi ero rassegnato a girare sul primo canale Rai e sbirciare il Festival, un po’ di malavoglia, onestamente, aspettandomi prima o poi la solita (fintissima e scontatissima) trasgressione, vi ricordate i calci al vaso di fiori, il bacio omo tra Fedez e quell’altro, l’auto-battesimo, il finto disoccupato “salvato” da Baudo; insomma esibizioni in cui il massimo del comodo adeguamento al mainstream a beneficio di audience, social e “approfondimenti” cerca di farsi passare per rivoluzione progressista. Rivoluzione con la benedizione del parroco e la scorta dei carabinieri, naturalmente. Che se poi qualche tradizionalista ci casca ed esplode in critiche morali, il gioco riesce meglio. Il progressista ha estremo bisogno di un qualche reazionario, se no che progressista è?
Scusate la digressione, ma mi stava proprio qui.
Giovanni Allevi in pochi minuti di parole e poi di musica – il suo Tomorrow – ci ha portati di colpo in alto. “In più spirabil aere”.
E ci ha raccontato degli altri doni, all’insegna tutti di una grande parola: gratitudine.
La “gratitudine per la bellezza del creato”, per il rosso dell’alba che è diverso dal rosso del tramonto. La gratitudine, poi, verso altre persone che ci sono compagnia essenziale, e che si svolge come “riconoscenza”: a medici e infermieri (quante volte invece ci accade di essere solo pretenziosi), ai ricercatori scientifici; gratitudine verso gli altri pazienti per la forza, l’affetto e l’esempio che riceve, e per la propria famiglia per il sostegno che non gli fa mancare.
Citando Kant, Allevi ha detto: “Il cielo stellato può continuare a volteggiare nelle sue orbite perfette, immerso in una condizione di mutamento continuo ma in me qualcosa permane. Ed è ragionevole pensare che permarrà in eterno”.
Ho sempre pudore a citare don Giussani, ma non ho potuto fare a meno di vedere documentati nelle parole di Allevi gli argomenti sviluppati nel capitolo quarto de Il senso religioso. In estrema sintesi: si rintraccia il senso religioso partendo da sé stessi impegnati con la vita, e scoprendo in noi l’esistenza di una realtà irriducibile alla materia, non destinata alla corruzione, cioè alla morte.
Ovvero, Allevi: “È ragionevole pensare che permarrà in eterno”. E “non potendo più contare sul mio corpo suonerò con tutta l’anima”.
Con l’anima ha suonato per la prima volta davanti al pubblico dopo due anni. Ha suonato come danzando con l’anima sulla tastiera e sulle armonie. Ha suonato il suo Tomorrow, perché “domani ci sia sempre ad attenderci un giorno in più”.
Grazie, Giovanni.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI
Il monologo di Giovanni Allevi al Festival di Sanremo 2024