Una allieva della scuola per marescialli dei Carabinieri si è suicidata a Firenze con la pistola di ordinanza. Le Procura, come riportato da Ansa, ha aperto un fascicolo, per il momento ancora senza ipotesi di reato né iscritti nel registro degli indagati. I genitori, tuttavia, sono convinti che a spingere la venticinquenne all’estremo gesto sia stato proprio il clima rigido in cui era costretta a vivere. È quanto emerge da una lettera inviata al sindacato Unarma, in cui vengono descritte le condizioni in cui la malcapitata versava.



Il racconto parte dall’inizio. “Nei primi giorni di frequentazione della scuola aveva manifestato l’intenzione di abbandonare il percorso anche se era da sempre stato il suo sogno. Aveva percepito quello che ci riferiva essere un ambiente estremamente rigido e totalitario. Successivamente si era convinta che il regime così restrittivo rientrasse nella logica di un periodo iniziale per testare in prima battuta le capacità di resilienza dei futuri marescialli”, hanno ricordato. Non è stato però così- “Le condizioni di pieno inasprimento e i ritmi di vita serrati sono continuati”. 



Il racconto dei genitori dell’allieva suicida nella scuola per marescialli dei Carabinieri

I contesti di vessazione, secondo la ricostruzione dei genitori dell’allieva della scuola per marescialli dei Carabinieri di Firenze, erano numerosi. Dall’impossibilità di rimanere in stanza in caso di malattia alle violazioni della privacy. “Le ragazze non possono indossare stivaletti tipo Dottor Martens o Timberland durante le libere uscite. Chi ha conseguito un esame con voto pari a 18-19-20 salta il pernotto. Dietro la porta della camera non ci deve essere nulla tranne l’acqua, niente sotto la scrivania, no beauty case in bagno, porte delle camere sempre aperte se non si è in libertà”. E tanto altro. “Diceva che quella scuola le stava rovinando la vita, stava anche perdendo i capelli”.



La sensazione della famiglia è che siano state proprio queste estreme fonti di stress a portarla a togliersi la vita. Il suo caso, in tal senso, non è isolato. “Episodi come quello di nostra figlia, o come quello avvenuto nella stessa scuola nel 2017 (un allievo di 22 anni si sparò alla testa, ndr), devono servire da spunto per un cambiamento nelle istituzioni, affinché trovino il modo di sostenere le proprie unità nei momenti di difficoltà”, si conclude la lettera.