Come litio e terre rare, anche l’alluminio è un materiale critico per l’Europa. Si tratta uno dei materiali più diffusi al mondo, oltre che più usati, eppure è entrato nella lista delle materie prime ritenute “a rischio” dall’Unione europea, tramite un emendamento al Critical Raw Materials Act. Visto che bisogna procurarsi una quantità crescente di metalli, diversificare le fonti e diventare autosufficienti è fondamentale, ma la strada è decisamente in salita per il Vecchio Continente, a cui servono interventi incisivi anche in settori in cui l’Europa era davanti. Purtroppo, l’industria dell’alluminio ha subito un ridimensionamento drammatico nel corso degli anni, in parte per la concorrenza sleale della Cina, contro cui i dazi hanno avuto effetti limitati, ma anche per i costi di produzione esorbitanti, in quanto determinati per il 40 per cento dall’energia.



Infatti, per ottenere una tonnellata di alluminio primario servono 15 Megawattora di elettricità, 40 volte più che per la stessa quantità di rame. Con la crisi del gas e la guerra in Ucraina, sono stati devastanti gli ultimi due anni. Infatti, secondo le stime di European Alluminium, si sono fermati altri 1,4 milioni di tonnellate di capacità delle fonderie di alluminio primario, quindi il 50% del totale. La produzione è crollata ai minimi nell’Europa occidentale, secondo l’International Aluminium Institute (Iai): 2,7 milioni di tonnellate a fine 2022 contro i 4,5 milioni di 15 anni fa.



DIPENDENZA DALL’ESTERO E PRODUZIONE AI MINIMI

Nel frattempo, continua a crescere la dipendenza dall’estero. L’Europa è ancora legata alla Russia, che vanta il colosso Rusal. La situazione non migliora se si prende in considerazione la bauxite, minerale da cui si ricava l’allumina, da cui si produce l’alluminio primario. Per l’Europa, spiega il Sole 24 Ore, è difficile risollevare le sorti del settore affidandosi solo alle forze di mercato. Ad esempio, riattivare una fonderia ferma è costoso e rischioso, sia per i prezzi dell’energia che per gli interventi necessari per la decarbonizzazione degli impianti, da alimentare con fonti pulite.



Non a caso è ripartito solo un impianto di quelli fermati nel 2021-22, cioè quello di Dunquerque, in Francia, che ha ottenuto energia nucleare a basso prezzo grazie ad un accordo col governo. Invece, una fonderia in Germania e una in Slovenia hanno chiuso quest’anno. Dunque, c’è cautela tra i produttori: non sono previste nuove riattivazioni almeno fino al 2024. Il problema è che più fonderie chiudono, più si diventa dipendenti dalle importazioni, che si fanno più costose e hanno una maggiore intensità carbonica. Ad esempio, le fonderie di alluminio in Europa emettono in media un terzo della CO2 rispetto a quelle cinesi, che invece vanno spesso a carbone.

CORSIE PREFERENZIALI PER BAUXITE E ALLUMINIO

L’alluminio era stato inizialmente lasciato fuori dalla lista dei materiali critici della Commissione europea. Poi è stato incluso con bauxite e allumina su richiesta delle aziende della filiera, sostenute soprattutto da Francia e Germania. Ma la prima versione del Crma, pubblicata a marzo, aveva già lanciato un allarme su due metalli di cui si prevede un impiego crescente per la transizione green. Uno è il rame, fondamentale per l’elettrificazione, e il nickel, usato nelle batterie e controllato in misura crescente dalla Cina, anche indirettamente, tramite partecipazioni minerarie. I due metalli sono stati classificati come “strategici”, ma non “critici”, comunque si dovranno adottare misure per prevenire difficoltà di approviggionamento. Invece, le miniere di bauxite e le fonderie di alluminio otterranno una corsia preferenziale, con procedure autorizzative più snelle e rapide per le nuove aperture. Infine, è stato accolto un emendamento che alza l’asticella sugli obiettivi di autosufficienza per i materiali critici: entro il 2030 l’Unione europea dovrà produrne “in casa” il 10%, trasformarne il 50% e ricicla ne il 20%.