Rischia di rivelarsi una gigantesca gatta da pelare per Giorgia Meloni la disastrosa alluvione in terra romagnola che l’ha costretta a un precipitoso rientro anticipato dal G7 giapponese. Non si tratta solamente di trovare somme ingenti per sostenere le popolazioni colpite e la loro economia, cosa che già di suo sarebbe complicata, in un bilancio dello Stato tiratissimo. Il fatto è che la vicenda presenta sorprendenti intrecci con la politica, tanto nei rapporti con l’opposizione, quanto all’interno della maggioranza.



Sin da prima di salire sulla scaletta del vecchio Airbus 319 di Stato che doveva riportarla in Italia, la Meloni ha cominciato a essere tirata per la giacchetta da tutte le parti, persino sulla data scelta per il primo Consiglio dei ministri chiamato a  discutere dell’emergenza, fissato per domani, martedì. Era la prima data utile, si è affrettata a spiegare, anche perché una stima attendibile dei danni non c’è. E non può esserci, almeno sino a quando le acque che hanno invaso la pianura non si saranno ritirate. Domani ci saranno i primi provvedimenti per gestire l’immediato, il blocco delle scadenze fiscali e una manciata di milioni da spendere subito. Poi ne serviranno molti di più.



Trovarli non sarà facile, ma su un punto tutto il governo è d’accordo: l’idea di dirottare sul dissesto idrogeologico una parte dei fondi del Pnrr destinati all’ambiente deve essere scartata a priori. Le risorse sono già impegnate su altre opere e per di più devono essere spese integralmente entro il 2026. Inutile imbarcarsi in un nuovo braccio di ferro con l’Europa. Piuttosto, ha ipotizzato la stessa Meloni, si potrebbe ricorrere al Fondo europeo di solidarietà.

Direttamente interessati alla partita dei finanziamenti e della ricostruzione, oltre alla Meloni, sono il suo vice Matteo Salvini – sabato a Bologna per un punto sui trasporti insieme al fido Piantedosi –, e il viceministro ai Trasporti Galeazzo Bignami (FdI), uomo vicinissimo alla Meloni, che per di più viene proprio dalle aree alluvionate.



La concorrenza interna alla maggioranza per gestire la ricostruzione nelle zone alluvionate incrocia però un delicato problema di rapporto con l’opposizione. Primo nodo da sciogliere la scelta del commissario che gestirà i fondi. La scelta più ovvia e più distensiva sarebbe affidare questo ruolo al presidente dell’Emilia-Romagna, Bonaccini. Sin qui Regione a guida Pd e Governo nazionale a trazione centrodestra sono andate a braccetto collaborando in modo esemplare e rifuggendo le polemiche. Ma il ministro per la Protezione civile, Musumeci, ha avvertito: niente fondi a chi non ha saputo spendere quelli che c’erano per il risanamento dei suoli. Riferimento evidente all’Emilia, che ha restituito alla Stato 55 milioni non spesi, in un’area di cui sino a pochi mesi fa era responsabile la vicepresidente di Bonaccini, che altro non è che la vincitrice delle primarie dem, Elly Schlein.

Non è un caso, probabilmente, se il Pd nazionale sin qui ha tenuto un basso profilo e ha dato segnali di collaborazione con l’esecutivo. La Schlein non può permettersi una sovraesposizione sulla vicenda senza correre il rischio di finire sotto accusa.

Questa non belligeranza potrebbe però rivelarsi di breve durata. Bonaccini è partito sparando alto, chiedendo rimborsi al 100%. Decisivo probabilmente il suo rapporto con la Meloni. Ieri premier e governatore hanno avuto un quarto d’ora di faccia a faccia al casello autostradale di Forlì, prima del vertice in prefettura a Ravenna. “Ci hanno chiesto aiuto per il rigassificatore”, ha spiegato il governatore emiliano, “ora siamo noi ad aver bisogno di loro”.

Bonaccini e Meloni torneranno a incontrarsi domani, martedì, a Palazzo Chigi nelle ore della riunione del Governo. Sarà un passaggio con ogni probabilità decisivo per capire quanto l’alluvione romagnola inciderà sulla politica nazionale, oltre che – come abbiamo visto – sulla vita dei centinaia di migliaia di cittadini che ne sono stati le vittime.

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