Che sia arrivato il momento della nostalgia nella politica italiana? C’è una tale litigiosità, sia a destra che a sinistra, su quasi tutti gli argomenti sul tappeto che desta impressione ma soprattutto inquietudine. Sul Corriere della Sera di ieri Antonio Polito spiegava come sarebbe difficile far comprendere all’estero l’autentica “rissa a parole” che si è sviluppata sul caso Fazio-Littizzetto, per la loro uscita dalla Rai con l’intervento anche di scrittori che in Italia sono considerati (con molta fantasia) quasi dei “premi Pulitzer”.



La contrapposizione così violenta, sempre a parole si intende, è il destino inevitabile di questo Paese?

C’è qualcuno che sottolinea sempre il “Dna degli italiani ricordando i guelfi e i ghibellini, i Bianchi e i Neri e qualcun altro si spinge sino agli Orazi e ai Curiazi.

Ma la sensazione è che il Paese segua la sua originalità storica, che è quella del litigio sistematico nel conformismo più bieco. E magari, nel momento opportuno, cerchi di onorare la considerazione stampata nel tempo da Ennio Flaiano: “Gli italiani corrono sempre in aiuto dei vincitori”.



Il problema è che anche Flaiano, nel suo splendido aforisma, si sbagliava, perché in Italia si vince e si perde con una facilità impressionante, per un riflesso condizionato dalla memoria fragile. E quindi ci si affida sempre all’umore del momento e ai cambi di casacca occasionali.

In fondo, Fabio Fazio che si sposta dalla Rai per andare a “predicare” su Canale 9 può influire al massimo sulla gente che si conta sulle dita di una mano. E pochi, in breve tempo, rimpiangeranno Luciana Littizzetto, battezzata da alcuni buontemponi “l’ultima delle gemelle Kessler”, per quelle sue gambe così sexy e slanciate.



Comprendiamo il dolore, ma riusciamo a capire su questioni ben più gravi perché, alla fine, gli italiani si siano allontanati dalla politica, al punto che il primo partito rimasto sia oggi quello dell’astensione, che ha raggiunto il 41 per cento.

E questo quando si vota per i sindaci, che vivono vicino a casa, non per i deputati e i senatori o per gli eurodeputati. Si può commentare che si intravvede un bel futuro politico.

La realtà è che fino a quarant’anni fa il confronto (che pure, spesse volte, si spingeva fino alla rissa parlamentare) si basava sulle ideologie, sovente intransigenti, utopistiche, ma in grado di coinvolgere interamente la vita di un cittadino, dai problemi di casa fino alla pace nel mondo.

E non a caso, pur nella loro intransigenza giusnaturalistica, quelle speranze di utopia riuscivano sempre a trovare una mediazione laica per assicurare la stabilità necessaria che, dopo il fascismo e la guerra, ha fatto crescere l’Italia fino a entrare negli anni Ottanta nel G7. Alla fine dell’ultima guerra mondiale, l’Italia era un Paese prevalentemente agricolo, con poche industrie e con larghi strati di analfabetismo reale, non funzionale, come quello che si sta drammaticamente affermando adesso in diverse zone del Paese.

È inevitabile pensare che quelle ideologie, interpretate da partiti laici, siano la vera causa della nostalgia della politica, delle verità anche scientifiche e delle istituzioni che ormai non sembrano funzionare più. E l’irritazione, o addirittura l’autentico menefreghismo del partito dell’astensionismo, non sembra altro che totale mancanza di visione politica, sociale e scientifica. Null’altro che la confusione delle posizioni che non prevedono confronti, sia pure duri ma costruttivi. Insomma una irritazione provocata solamente da schemi che diventano quasi dei “comandamenti scientifici”.

Guardiamo la tragedia che sta vivendo l’Emilia-Romagna in questo periodo, con morti, dispersi, strade invase dalle acque e dal fango, case isolate, industrie e agricoltura in grave crisi. Anche su una simile catastrofe si è vista sopratutto un’abbondanza di posizioni schematiche, ultimative, che possono quasi compromettere la catena degli aiuti.

Si può dire che solo il buonsenso e la vecchia militanza politica del presidente della Regione, Stefano Bonaccini, riesca a creare un clima di collaborazione, una mobilitazione tra istituzioni regionali tradizionalmente di sinistra e Governo di destra-centro.

Ma se si guardano le trasmissioni televisive, i dibattiti e se si leggono i giornali, emerge subito lo scontro stizzoso tra chi ha già stabilito che tutto è frutto del “cambiamento climatico”, arrivando a dire che chi non lo ammette si deve definire “negazionista”, paragonandolo cioè a coloro che non riconoscono la Shoah.

Un dibattito scientifico controverso diventa quindi per alcuni una sorta di “imperativo categorico”, senza un confronto costruttivo, ma con ultimatum tassativi che fanno litigare destra e sinistra.

Forse, c’è qualche cosa che si è dimenticato di fare e si cercano di nascondere delle responsabilità. Seguite qualche ragionamento.

È vero che il “cambiamento climatico” porta a delle scelte di carattere mondiale, ma passare dalla visione istituzionale all’esclusiva visione climatica sembra eccessivo. Nondimeno proprio questo, senza il parziale soccorso dell’ideologia, pare soddisfare i nuovi cittadini italiani e anche molti altri nel mondo.

Nonostante una certa propaganda vincente, ci sono posizioni differenti. Franco Prodi, fratello del più celebre Romano, è stato direttore dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima, l’Isac-Cnr. Uno scienziato, non un improvvisatore. L’altro ieri ha scritto sul Foglio” un articolo notevolmente polemico con il pensiero dominante, titolato: “Disastro scientifico. Le previsioni fatte per la pubblicità sono un guaio. È ora di un’agenzia Meteo Italia, contro gli speculatori”.

La conclusione dell’articolo di Franco Prodi è questa: “Le storie delle ‘bombe d’acqua’ devono finire, almeno quelle. Assieme alla bufala del ‘cambiamento climatico’. Anche il pubblico deve ribellarsi alle previsioni fatte solo per raccogliere pubblicità”. E ancora: “Il pubblico ha il diritto di ricevere previsioni all’altezza dei recenti progressi della meteorologia di ricerca”.

Oltre che degli esperti di un certo tipo, si può tenere conto anche di esperti come Prodi e tanti altri? Oppure dobbiamo concludere che Prodi e altri scienziati siano dichiarati dei pazzi?

Nonostante tutto questo, il dibattito scientifico, per la politica italiana, diventa rissa divisiva assoluta (ascoltate cosa dice con sicumera il verde Angelo Bonelli).

Con tutti i problemi che il sistema italiano ha accumulato in trenta anni di cosiddetta seconda repubblica, la discussione oggi è sopratutto quella del cambiamento climatico e delle defezioni o espulsioni dalla Rai.

Da queste constatazioni e da questi dibattiti ci vengono in mente due libri. Il recentissimo di Piero Craveri Dalla democrazia incompiuta alla postdemocrazia e, per le questioni scientifiche, un libro del secolo scorso di Karl Popper, La società aperta e i suoi nemici, dove l’autore affermava che quando ci si confronta con una teoria non bisogna cercare prove scientifiche che la sostengano, ma cercare prove che la contraddicano, quindi che addirittura la falsifichino. Anche Albert Einstein era d’accordo con Popper.

Chissà se i “rissaioli” politici italiani, così sicuri su tutto, possono ricavare qualche cosa da questi personaggi un po’ più informati di loro almeno nel metodo di affrontare la realtà. Forse c’è ancora tempo per salvare la democrazia e una società aperta. Ma il tempo è limitato.

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