Un amico di Mirandola, in provincia di Modena, mi raccontava uno strascico psicologico del terremoto che colpì le sue parti dodici anni fa, proprio di questi giorni, nel maggio del 2012: chi aveva vissuto quell’esperienza, se si trovava al chiuso, ogni volta che sentiva un rumore forte e improvviso, come lo sbattere di una porta, i battiti del cuore acceleravano e provava l’impulso di scappare per cercare riparo chissà dove. Una terribile sensazione per la quale fu necessario molto tempo prima che se ne andasse di dosso. Gli stessi racconti vengono da amici dell’Abruzzo e delle Marche.
Mentre scrivo questo articolo da una città romagnola, sta piovendo copiosamente. Un anno fa, proprio di questi giorni, nel maggio del 2023, l’alluvione ha coperto campi e città; ci sono stati anche dei morti. Certo, il trauma vissuto è meno grave di chi è rimasto sotto le macerie di un terremoto, eppure tutti noi ci pensiamo, eccome. Appena il cielo si fa, come oggi, plumbeo e comincia a cadere la pioggia; appena, come ieri, il temporale borbotta coi suoi tuoni e, dalla prima collina, si scorge che laggiù sta cadendo un acquazzone, è impossibile non pensarci: oddio, non accadrà di nuovo…
Il segno dell’alluvione si è piantato soprattutto nella nostra memoria. A girarle, le nostre città, non sembra che sia accaduta affatto, i segni sono spariti; non sembra che, appena un anno fa, le strade si fossero trasformate in canali, le case in isole cubiche, strane barche rovesciate, i campi in specchi lacustri verdastri o marroni. Appena un anno fa in quello spiazzo del mio quartiere si accatastavano alcune auto, una sopra l’altra, ammaccate, infangate e da rottamare; in quella strada navigava il gommone della protezione civile, il ponte scricchiolava perché il fiume stava per travalicarlo, dopo aver incastrato un bosco di alberi sradicati sotto le sue arcate. Sulle spiagge a dieci chilometri da qui si rinvenivano oggetti di tutti i tipi, come mobili ed elettrodomestici; peggio ancora, carcasse di animali, mucche, maiali, addirittura cervi. Con l’estate è seccato tutto: ricordo bene la patina di polvere che copriva le strade intorno al fiume e certi laghi di creta secca che ha impedito di coltivare i campi a lungo.
Ma oggi è passato tutto. Le strade, su cui per alcune settimane si ammucchiarono detriti, mobili marciti, asfalti sbriciolati, sono tornate come nuove. Quasi tutti sono tornati a casa: per mesi, forse ancora oggi, dentro i muri c’è ancora acqua imprigionata tanto che a lungo, facendo buchi alle pareti, la si è vista sprizzare fuori. Ma le case sono state tutte ripulite, da un esercito di volontari: i mobili sostituiti, spesso arrivati dalle raccolte fatte da gente generosa e caparbia, non solo romagnola, ma da ogni regione e oltre; le migliaia di macchine rottamate sono state ricomprate, gli elettrodomestici rimpiazzati. La riviera, il nostro polmone economico, è stata tirata a lustro, non c’è ombrellone che non sia pronto ad ospitare l’ospite di turno, anche se una nuova alluvione rischia di distruggerla davvero, quella della direttiva Bolkestein sulle concessioni balneari.
Certo, non tutto funziona ancora: giusto per fare qualche esempio, le saline di Cervia, che producono da secoli il famoso sale dolce, non si sono ancora riprese dal mare di fango che le ha sommerse stravolgendo il delicato equilibrio di vasche e bacini che occorre per produrlo. Alcuni deliziosi centri termali, come quello della Fratta sopra Forlì, sono da ripristinare. Ci sono aziende che hanno perso tutto, locali e macchinari, e che devono riprendere la produzione. Non tutto è proceduto, soprattutto nella distribuzione dei fondi statali, la cui lentezza e confusione ha generato molte proteste tanto che diversi cittadini hanno costituito associazioni di alluvionati, per vedere di dare una scossa allo Stato.
Anche i Comuni non sono sembrati molto reattivi, facendo temere che se la pioggia dovesse cadere come l’anno scorso, ci troveremmo sott’acqua di nuovo. Il sindaco di Cesena, ad esempio, ora in campagna elettorale, ha messo come primo punto del programma la modernizzazione dello stadio di calcio ora che la squadra cittadina ha vinto il campionato di serie C. Così il presidente dell’associazione alluvionati, nuovo alla politica, s’è candidato con l’opposizione.
Non si tratta di una storia alla Peppone & Don Camillo, qui quasi la politica non c’entra. La paura sì. L’alluvione è venuta un anno fa, s’è portata via case e beni per milioni, e persino qualcuno di noi. Un popolo caparbio e commovente s’è rimboccato le maniche e ha rimesso a nuovo campi e città, tanto che appena qualche mese dopo l’alluvione sembrava non fosse successo nulla. Ma nella testa il ricordo è ancora nitidissimo, tanto che di ’sti tempi, appena cade qualche goccia, rispunta la domanda: cosa accadrebbe se dovessero piovere di nuovo così tanto?
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