Ci risiamo. È passato un anno e una manciata di mesi e la Romagna è di nuovo sott’acqua. Sono bastati due giorni di pioggia torrenziale e tutta una fascia di territorio si è allagata: campi e paesi inondati di acqua e fango, strade affogate, campi e aziende distrutte. Un migliaio, allo stato attuale, gli sfollati, coi sindaci che supplicano attraverso le ordinanze di salire al secondo piano delle case. Al momento due persone risultano disperse. La zona più colpita è la parte centrale della regione, dove la pioggia si è abbattuta con particolare accanimento nella provincia di Ravenna, sulla città di Faenza e i comuni intorno, dalle colline alla pianura: Bagnacavallo, cittadina che si trova già nella bassa dove l’acqua ha la vocazione a ristagnare, è l’epicentro del disastro.Le precipitazioni abbondanti hanno causato nuove inondazioni in Romagna. Esondati il Senio e il Lamone. Perché il film si ripete?
In molti piccoli comuni l’acqua è uscita dagli argini perché lo scorrimento dei fiumi, soprattutto del Lamone a Bagnacavallo e del Senio a Cotignola, è stato presto ostruito dai detriti trascinati dalla piena e bloccati dai ponti. Il tetro scenario degli elicotteri che sorvolano la zona per trarre in salvo le persone bloccate e in pericolo è un film che i romagnoli speravano di non rivedere. Le ruspe della protezione civile e le braccia dei volontari si sono già messi all’opera, seconda la generosa consuetudine di questa gente; ma ancora una volta si sperava di esserne risparmiati.
Le piogge di questi giorni, sicuramente copiose e continue dalla notte di martedì, hanno velocemente saturato i fiumi, i torrenti e i fossi; forse troppo velocemente. L’esperienza catastrofica del maggio 2023, quando intere città romagnole finirono sott’acqua e l’economia fu messa in ginocchio, è ancora viva nel ricordo degli abitanti. Ancora oggi, in certe case che furono allagate un anno e mezzo fa, quando si praticano fori nei muri di mattoni traforati l’acqua continua a sgorgare. Certo la distanza temporale tra le due alluvioni è troppo breve perché la macchina dei lavori pubblici e delle opere idrauliche a lungo progettate iniziasse i lavori per evitare futuri, eventuali catastrofi. Ma proprio qui sta il punto.
A memoria d’uomo e di storia, alluvioni ce n’è sempre state. Con la tecnologia di oggi si sperava di poter fare meglio, però. Ma è anche sicuro che in passato molte alluvioni sono state scongiurate dal lavoro di tanti uomini, soprattutto contadini, che avevano cura del territorio. Proprio questo è scomparso. Quello che una volta era una cura diffusa di fossati, torrenti e rivali non c’è più. Essi venivano tenuti puliti e sgombri dai coltivatori che coi loro poderi confinavano con questi corsi d’acqua, ai quali magari conveniva raccogliere l’erba come cibo per gli animali e i pezzi di legnami che si accumulavano sulle rive come combustibile per i focolari. Questi residui vegetali, autentica risorsa, avevano anche un nome esatto nella lingua dialettale, per dire quanto preziosa fosse questa risorsa che veniva direttamente dalla natura.
Oggi tutto questo non è possibile. La vegetazione sulle rive dei fiumi – anche alberi di svariati metri – è intoccabile, per abbattere un albero pericolante che magari minaccia un’abitazione occorre una trafila di autorizzazioni e ha un costo ingente di migliaia di euro, la raccolta di pezzi di legno sulla riva del mare, e persino delle conchiglie, è da un po’ di tempo severamente multata. Tutto è delegato all’ente pubblico, allo Stato, alla Regione, al Comune, con le conseguenti lentezze, pastoie burocratiche, blocchi derivati dalla documentazione elefantiaca e dalla mancanza di fondi, in una regione che è, come si sa, tra le più sovietiche del mondo.
È la stessa storia di quel barista di Roma che, dopo aver supplicato per mesi il Comune di riempirgli una buca nel marciapiede di fronte al bar, ha preso badile, secchio e cemento e si è arrangiato. È arrivato il vigile, gli ha propinato una cospicua multa e gli ha imposto di ripristinare la buca.
Certamente le piogge di questi anni sono sopra la media e grandi lavori di bonifica del territorio sono necessari. Ma anche una responsabilità diffusa dei cittadini, il lasciar libertà di curare la terra dove abitano senza terrorismo giudiziario e una partecipazione larga al bene comune sarebbero di grande aiuto. Le alluvioni di questi mesi sono probabilmente anche figlie di una burocrazia che straripa come l’acqua in Romagna.
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