L’alluvione di maggio 2023 che ha messo in ginocchio il territorio emiliano-romagnolo ha fatto emergere un grave problema nella programmazione territoriale e delle mappe del rischio alluvionale dell’Emilia-Romagna: tante zone ricoperte dall’acqua non erano state messe in conto nei piani urbanistici, semplicemente perché anche nella nostra Regione negli ultimi anni il clima è cambiato in modo repentino.



Il problema è che in base alle mappe del rischio alluvionale, redatte dalla Regione, vengono stilati tutti i documenti di programmazione territoriale e urbanistica della Regione, e soprattutto i piani regolatori dei Comuni, che impongono dove, quanto e come si può costruire, ristrutturare, ampliare e rigenerare. Quindi mi chiedo: i Comuni che oggi autorizzano l’ampliamento di un interrato negli stessi edifici che a maggio 2023 e a settembre 2024 sono stati fatti sgomberare perché l’acqua straripava, lo fanno consci del rischio nel quale mettono i cittadini o si possono fidare delle prescrizioni vigenti?



L’acqua si muove seguendo le leggi della fisica e la forza di gravità. Un’area a rischio alluvionale lo è perché ha una certa conformazione morfologica che fa sì che l’acqua ristagni, oppure perché è vicina a un corso d’acqua ed è facile che una grande quantità defluisca dal letto del fiume, o ancora perché è posizionata sotto un argine che può avere una rottura. Per questo vengono redatte mappe della pericolosità e del rischio di alluvioni, e su queste mappe la Regione costruisce il Piano territoriale regionale (PTR), sul quale i Comuni a loro volta costruiscono la loro pianificazione territoriale attraverso l’approvazione del Piano urbanistico generale (PUG). Ma se i Comuni approvano i Pug sulla base di mappe che non considerano gli attuali cambiamenti climatici, i successivi progetti di case, condomini, aziende, scuole e così via non sono fatti tenendo conto del reale rischio. Per cui, ora, la domanda urgente è se quello che se ciò che è in costruzione oggi, o che verrà autorizzato da qui al prossimo aggiornamento (almeno si parla del 2027), sarà abbastanza sicuro per le persone e per le cose, dato che è progettato e costruito su presupposti che abbiamo imparato essere non fondati.



Un altro aspetto importante che mi preme sottolineare è legato alla prevenzione. Chi investirebbe in un territorio, magari dove tutto è stato ripristinato nel modo migliore e all’avanguardia, con il rischio che annualmente possa tornare sott’acqua? Cosa si sta facendo sul versante della prevenzione? Che ruolo può avere il Centro europeo per le previsioni meteorologiche inaugurato qualche anno fa a Bologna? Si tratta di un centro assolutamente all’avanguardia e credo che si possa valutare di coinvolgere i suoi esperti per proporre soluzioni nuove. Questa è nostra responsabilità oggi, non del generale Figliuolo.

Pertanto, di fronte allo smarrimento che proviamo nel vedere ancora una situazione di emergenza nella nostra terra, ritengo necessario che la seduta dell’Assemblea legislativa in calendario la prossima settimana cambi l’ordine del giorno, e che ci sia un’informativa in aula da parte di Irene Priolo (presidente ad interim della Regione Emilia-Romagna, ndr). È evidente che, in Emilia-Romagna come altrove, il clima è cambiato, così come la capacità del territorio di reggere determinate precipitazioni e fenomeni atmosferici. Il lavoro della Regione dei prossimi cinque anni deve inevitabilmente tenerne conto, al fine di affrontare questo cambiamento con gli adeguati strumenti e con la massima serietà che la popolazione merita. Chiediamo pertanto a Priolo di condividere con l’Assemblea legislativa in carica l’analisi che è stata fatta rispetto a questo fenomeno di trasformazione, oltre a fare una rendicontazione degli interventi di messa in sicurezza effettuati nell’ultimo anno e mezzo.

Come ultimo aspetto, vorrei spiegare quali sono i tempi e i modi delle emergenze in Italia, che poi sono sempre gli stessi, anche quando la macchina è perfetta, come per il terremoto dell’Emilia. Chi meglio di noi, che ha vissuto un disastroso terremoto e ha pazientemente ricostruito, conosce i tempi e i modi dell’emergenza? Non capisco perché non si sia accesa la lampadina della memoria, rispetto a tante dichiarazioni che si sono succedute in questo periodo. Torno dunque al terremoto dell’Emilia per rinfrescare la memoria a tutti. A partire dal 10 gennaio 2013, sette mesi dopo il sisma che sconvolse l’Emilia furono stanziati e messi a disposizione presso la Cassa Depositi e Prestiti i 6 miliardi per la ricostruzione. Già, sette mesi dopo il sisma. I cittadini con una casa inagibile – ricordo a tutti – dovevano presentare la domanda di contributo al Comune di residenza, e la domanda poteva essere accettata o respinta dall’ente qualora non fosse ritenuta congrua con i requisiti stabiliti dalle ordinanze regionali. L’accettazione della domanda implicava poi la produzione di un ulteriore documento, la cosiddetta “cambiale Errani”, la quale stabiliva che al cittadino doveva essere corrisposto un determinato contributo. Ma delle sole “cambiali Errani” le banche non sapevano che farsene. Per l’elargizione del denaro occorreva infatti un ulteriore passaggio: gli istituti di credito avrebbero pagato le imprese sulla base di una seconda disposizione comunale rilasciata solo quando il cittadino avesse presentato le prime fatture di pagamento. E se per qualche ragione la “cambiale Errani” non fosse stata coperta? Le banche, a inizio 2013, non persero tempo e fecero firmare una sorta di manleva al proprietario.

Insomma, se lo Stato non paga, la Regione tace e il rischio si scarica sul proprietario. Fortunatamente la levata di scudi dell’allora Popolo della Libertà costrinse la Regione a ritrattare con l’Abi e non fu più chiesta la copertura del privato. Questo appunto non per recriminare, ma per ricordare anche gli errori fatti – perché di errori si tratta –, e per ricordare i lunghi tempi del finanziamento dell’inizio dei lavori delle emergenze in Italia.

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