A caldo, è ancora difficile esprimere un parere realmente fondato e durevole sulle cause e le responsabilità della drammatica vicenda dell’alluvione, ennesima, in Romagna. La vicinanza delle elezioni regionali, a metà novembre, incide inevitabilmente nelle analisi e nelle propensioni di chi esprime pareri. C’è chi pensa che quest’alluvione possa rappresentare un punto di svolta nella campagna elettorale: lo pensano alcuni a centrodestra, lo temono altri a centrosinistra. Altri ancora invece ritengono che non ci saranno scossoni e l’effetto della catastrofe, pro o contro le parti politiche in lizza, si spegnerà presto, come tutto in questo mondo “interconnesso” che consuma velocemente e sullo stesso piano guerre, tragedie, omicidi, pettegolezzi e passatempi.



Può darsi che non la pensino così migliaia di persone in Romagna. Resta il dato rilevato dagli ultimissimi sondaggi: circa il 50% della popolazione tra Piacenza e Rimini non sa ancora per chi votare o se andrà a votare. Un oceano di indecisi. A fronte di un tale dato, quanti siano al momento le percentuali della sinistra e del suo candidato governatore (in Emilia-Romagna sempre elevate) o della sfidante civica, rischiano di essere irrilevanti. Quella metà del popolo indeciso potrebbe cambiare tutto, o lasciare tutto com’è da mezzo secolo.



Un dettaglio non secondario è che, nonostante diverse testate si sian avventurate, in stile anglosassone, nel cosiddetto “fact checking” di quanto sia stato fatto dopo l’alluvione del 2023, in altre parole la verifica dei fatti, in realtà non c’è stato al momento alcun reale “fact checking”. Spiace dirlo, ma è così. Si tratta, nella migliore delle ipotesi, di un mero catalogo delle affermazioni delle parti in campo, più o meno apparentemente documentate e semplicemente messe a confronto.

Registrare e sintetizzare i dati del governo, del commissario Francesco Figliuolo o dell’ex governatore Stefano Bonaccini e della sua attuale sostituta, Irene Priolo, non è una verifica “indipendente”. Il problema è che una reale libera verifica di come stiano le cose, su quanti siano i cantieri veramente conclusi, costa molto lavoro. E tanto tempo. Per il semplice motivo che non ci si può semplicemente fidare delle fonti, anche se pubbliche, e perché tutta l’apparente massa di documentazione reperibile nei siti pubblici non appare mai completa e nemmeno di facile decifrazione. È del resto questo il reale potere della burocrazia: detiene le informazioni e il potere di condividere quello che ritiene, nonostante tutte le norme sulla trasparenza. Come del resto accade da decenni sui conti della sanità e come è avvenuto sulla pandemia.



Verosimilmente, molti degli alluvionati non si fidano più di nessuna istituzione in campo. Ed è questa la possibile vera tragedia per la nostra democrazia, la sfiducia generalizzata verso la politica e le istituzioni. Una verifica indipendente avrebbe comportato giorni di lavoro per andare sul terreno e verificare se e quante casse di espansione o di laminazione siano operative e quante siano solo sulla carta o semplicemente progettate o solo ipotizzate. E si scoprirebbero chissà quante magagne, dovute a leggi e burocrazia, e quante lungaggini insopportabili dovute alla burocrazia come quelle di alcune opere sul fiume Senio, che attendono di essere completate o collaudate da anni. In queste ricognizioni di qualche mass media emergono sempre poi, sottilmente o esplicitamente, le propensioni politiche di una testata o di un opinionista a favore di una delle parti in causa e della relativa narrazione. E non staremo a stilare una lista delle propensioni, peraltro generalmente note. Andrebbero sentiti gli alluvionati. Che sono tanti, purtroppo.

È comunque interessante registrare una recentissima diversità di scelta, da parte della premier Giorgia Meloni, in quest’ultimo frangente. L’anno scorso, all’indomani della tragica alluvione del 2023 in Romagna, il Sussidiario – ovviamente inascoltato – suggerì di rompere schemi e dedicarsi tutti assieme alla ricostruzione, indicando come riferimento commissariale la struttura commissariale regionale già sperimentata per il terremoto emiliano del 2012. Ergo, il presidente regionale Bonaccini. Non fu fatto così, e la ragione era – inutile nasconderselo – esclusivamente politica, ovvero non offrire alla sinistra quella che si pensava una straordinaria occasione di consenso. Si optò per un generale, peraltro serio e rigoroso come Figliuolo. Questa volta Meloni ha indicato come commissario l’attuale presidente facente funzioni della Regione. Dimostrando di avere senso delle istituzioni prima degli interessi di parte, e smentendo molte delle permanenti narrazioni a lei ostili da sinistra.

Cosa ha capito quindi il centro-destra rispetto al 2023? Che gestire un dopo catastrofe è difficile, e che non è su queste partite drammatiche che si alzano o abbassano i consensi a breve termine (anzi, tenuto conto delle enormi difficoltà storiche dell’Italia nel rimettere in sesto i cocci del proprio territorio, è più facile perdere consensi).

Detto questo, fanno bene gli attuali contendenti alla presidenza regionale, Elena Ugolini e Michele De Pascale, a dibattere appassionatamente di questa ultima catastrofe. La posta in gioco è troppo importante, non solo per la Romagna. Ugolini ha un vantaggio oggettivo: rappresenta comunque una novità, non ha tessere di partito, e non è incolpabile di certo del dissesto idrogeologico dell’Emilia-Romagna e di alcuni dei ritardi denunciati, a chiunque si vogliano attribuire le colpe. De Pascale ha esperienza da sindaco, ma anche le connesse inevitabili responsabilità di aver gestito un’area – quella ravennate – che si è dimostrata enormemente fragile e vulnerabile.

Il voto ci dirà, fra meno di due mesi, quali fattori hanno motivato (o demotivato) gli elettori. Se dobbiamo credere all’ultimo sondaggio Nomisma sulle priorità dei residenti in Emilia-Romagna, avremmo come temi smog, casa e criminalità. Tuttavia questo rilevamento è stato effettuato tra il 3 e il 6 settembre, quando nessuno poteva immaginare che ci sarebbe stata l’alluvione bis. Una certezza comunque c’è: pur sfiancati dalle prove, i romagnoli si rimboccheranno per l’ennesima volta le maniche. Ogni volta però è più difficile e faticoso.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI