Può essere che la realtà molto urbanizzata dell’Emilia-Romagna abbia contribuito ad accentuare gli effetti di una alluvione comunque imprevista. Tuttavia, anche se molto enfatizzato, questo aspetto potrebbe aver inciso solo fino a un certo punto.
Quello che conta ora, per evitare altri disastri, è occuparsi dei corsi d’acqua, rallentarli dove possibile, e individuare delle aree dove far defluire l’acqua in caso di piena. Solo così si potranno contenere i danni derivati da precipitazioni eccezionali. Lo spiega Maurizio Castellari, geologo dell’Ordine dei geologi dell’Emilia-Romagna.
Uno dei temi più evocati per cercare di spiegare il disastro di questa alluvione è quello del consumo di suolo. L’Emilia-Romagna, nonostante una legge per limitarlo, è la terza regione in Italia da questo punto di vista e anche negli ultimi anni le aree ricoperte sono cresciute del 10%. Quanto ha inciso questo aspetto?
La legge è del 2017. C’è stato un periodo transitorio in cui tutto quello che era previsto nei vecchi piani regolatori poteva essere realizzato. Chi aveva la possibilità di costruire ha cercato di farlo o di avere in mano uno strumento per procedere. Altrimenti, con i nuovi piani regolatori che discendono dalla legge regionale, in tante aree non ci sarebbe più stata la possibilità di edificare.
Paradossalmente una legge per evitare il consumo di suolo ha finito per accelerare, in questi ultimi anni, il consumo stesso?
Sì. È anche vero che la legge regionale prevede un ampliamento possibile negli anni del 3% dell’area urbanizzata. Se si fanno i conti di quanto è grande Bologna e si aggiunge un ulteriore 3% si ottiene un numero gigantesco comunque.
Questa legge è un’arma un po’ spuntata?
Spuntata no. La legge va bene e sta spingendo gli investitori a utilizzare aree dismesse all’interno dei centri urbani. Per usare il 3% bisogna avere un’autorizzazione dal Comune e non è così immediato averla. Vengono considerate anche le opere pubbliche: se un’amministrazione vuole fare una strada e ha già utilizzato la percentuale prevista, non può più realizzarla. È un’arma che funziona per recuperare le aree dismesse, che sono abbandonate e già impermeabilizzate. È altrettanto chiaro che in questo periodo transitorio si è cercato di fare il possibile per costruire, accelerando dinamiche che forse senza questa scadenza non sarebbero state così accelerate.
Ma alla fine quanto ha inciso il consumo di suolo sull’alluvione?
Un po’ avrà inciso, ma non in maniera fondamentale. Il grosso della piovosità è stato nelle colline, con picchi di 150, 200, 230 millimetri di pioggia cumulata nelle 48 ore dell’evento, che è caduta sugli oltre 200 millimetri di inizio maggio, insistendo su un terreno che quindi era completamente saturo. Tutta quella che è caduta è venuta giù, a valle. Questo ha innescato una serie di frane: non erano mai state così tante. Nella zona pianeggiante, quella impermeabilizzata perché più costruita, non è piovuto così tanto.
Quindi l’acqua è caduta soprattutto in collina da dove ha proceduto verso i centri abitati in pianura?
Esattamente. A questo va aggiunto che per tagli di fondi e riduzioni varie gli enti che storicamente erano deputati al controllo degli argini ultimamente sono ridotti al lumicino. Una volta c’era il sorvegliante dell’argine, adesso è una figura che non esiste più.
Si è ridotto in generale il personale della pubblica amministrazione e questa riduzione si è sentita anche in questo settore?
Si è diminuito il personale, sono stati accorpati tanti enti, sono stati ridotti i soldi ai Consorzi di bonifica. Ci si è beati di una situazione che tutto sommato era abbastanza tranquilla. Ogni tanto però la piena eccezionale arriva e se hai ridotto i fiumi il più possibile per avere non solo più urbanizzazione, ma anche più agricoltura, a quel punto il fiume si prende il suo spazio, se non c’è più va dove riesce.
Il presidente della Regione Bonaccini a una domanda sul fiume Lamone ha risposto che era stata fatta pulizia, conclusa l’autunno scorso. Le esondazioni sono dovute anche a mancanza di pulizia dei corsi d’acqua? Queste operazioni sono fatte con continuità?
La pulizia dei fiumi è una cosa che ultimamente si è ripreso a fare. Bonaccini dice che il Lamone era stato sistemato ma poi magari anni fa sono stati fatti interventi che hanno ridotto un argine perché si doveva fare una coltivazione e poi è stato sormontato dall’acqua proprio in quel punto. Quando il fiume sormonta l’argine non si sa più cosa può succedere, diventa tutto incontrollabile.
Cosa bisognerebbe fare allora, argini più alti?
Nelle zone montane bisognerebbe creare dei rallentamenti per l’acqua che scorre. Lì l’acqua può andare piano e si possono avere gli alberi, se ci fossero dei bacini di raccolta si potrebbe anche utilizzare l’acqua per irrigare. Nelle zone di pianura occorre individuare delle aree dove il fiume può essere fatto esondare in modo controllato. Ettari non destinati alla coltivazione oppure con coltivazioni che possono andare sott’acqua: se in una cassa di espansione faccio un pioppeto che mi serve per produrre carta fra dieci anni, quel pioppeto può andare sott’acqua e starci una settimana, non ha problemi. Bisogna ragionare in maniera organica su tutto il bacino.
Ma ci sono questi spazi per far sfogare il fiume in caso di necessità?
Gli spazi ci sono, è chiaro che potrebbero essere di privati e a questo punto sarà necessaria una convenzione con loro, accordandosi per l’utilizzo. Gli strumenti di pianificazione, i piani di bacino, ci sono, è un po’ mancata la loro attuazione.
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