Le tragedie accadute in questi anni in varie zone dell’Italia come nel Triveneto, in Calabria in Sardegna, nelle Marche e l’anno scorso in Emilia-Romagna non sono bastate, affinché il problema del dissesto idrogeologico del nostro Paese fosse un tema presente nell’agenda parlamentare. La ricerca del colpevole, dell’errore nelle previsioni, del non aver utilizzato tutti i fondi messi a disposizione dal Governo, del chi avrebbe potuto fare cosa per evitare l’ennesima perdita di vite umane e di risparmi dei cittadini, serve a poco se non si considera che, oltre ai fenomeni meteorologici estremi sempre più imprevedibili a causa del riscaldamento globale, la questione della prevenzione è un problema politico e culturale che abbraccia tutti gli aspetti connessi alla vita delle persone e dei vari governi centrali e regionali. Quello che è capitato in questi giorni in Emilia Romagna è l’ennesima tragedia annunciata. Inondazione che ha visto esondare diversi fiumi in poco tempo e con migliaia di sfollati, tutto questo solo 16 mesi dopo la grande alluvione che aveva colpito le stesse zone.
L’Emilia-Romagna è tra le regioni in cui le percentuali di territorio potenzialmente allagabile e di popolazione esposta a rischio di alluvione per i tre scenari di pericolosità, risultano superiori rispetto ai valori calcolati alla scala nazionale. Per uno scenario di pericolosità media le aree potenzialmente allagabili raggiungono il 45,6% dell’intero territorio regionale e la popolazione esposta supera ampiamente il 60%. Le province con maggiori percentuali di territorio inondabile sono Ravenna e Ferrara con percentuali che arrivano rispettivamente all’80% (87% di popolazione esposta) e quasi al 100% in caso di scenario di pericolosità media da alluvioni. Per Modena la percentuale di aree allagabili è il 41,3% (53,3% di popolazione esposta), Bologna 50% (56,1% di popolazione esposta) e Forlì-Cesena 20,6% (64% di popolazione).
I rimedi, partendo dalla prevenzione e dalla mitigazione del rischio, per contrastare il dissesto, sussistono e sono strettamente legati alla volontà di salvaguardare il territorio, superando il conflitto tra cultura ideologica/ambientalista e quella interventista, dato che molti lavori di risanamento vengono contestati per il loro impatto ambientale, mentre quelli che vengono finanziati si perdono nella burocrazia e nei tempi lunghissimi tra progettazione, assegnazione dei lavori e collaudo (come, per esempio, i bacini di laminazione che in alcune città si sono rivelati fondamentali per contenere le piene e limitare i danni).
Sarebbe importante, a fronte anche dei finanziamenti del Pnrr in materia di dissesto idrogeologico, svolgere un lavoro di integrazione delle competenze e di coordinamento dei ministeri dell’Ambiente, delle Infrastrutture, dell’Agricoltura, dei Beni culturali, dell’Economia, e delle Regioni. Inoltre, è necessario che il nostro Paese si adotti di un sistema unitario di banca dati nella gestione dei fondi, oltre a superare le difficoltà delle amministrazioni nazionali e locali nello svolgere funzioni ordinarie che hanno portato, nel tempo, al ripetuto ricorso a gestioni commissariali ed emergenziali, che in alcuni casi, come in questi mesi in Emilia Romagna, scontano il poco dialogo tra le varie istituzioni.
Il tema del dissesto idrogeologico costituisce un argomento di particolare rilevanza a causa degli impatti non solo sulla popolazione e sulle infrastrutture, ma soprattutto sul tessuto economico e produttivo.
Nel Rapporto Ispra del 2021 viene presentato un nuovo indicatore sugli aggregati strutturali a rischio frane. Le industrie e i servizi ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono oltre 84.000 con 220.000 addetti esposti a rischio; quelli esposti al pericolo di inondazione nello scenario medio sono oltre 640.000 (13,4% del totale).
Da un altro rapporto Ispra, quello del 2022 sul consumo di suolo, emerge che l’Italia continua a consumare suolo a un “ritmo non sostenibile” e nel 2021 è tornata a farlo a “velocità elevata”, invertendo la tendenza di riduzione degli ultimi anni, nonostante la pandemia e la crisi climatica.
Non può esserci sviluppo e soprattutto sviluppo sostenibile su un territorio fragile. Transizione ecologica, digitale e sociale devono andare di pari passo con la messa in sicurezza del nostro Paese. Sarebbe irragionevole investire e spendere risorse europee per rilanciare un Paese che è interessato da continue alluvioni e fenomeni franosi se prima non lo si cura.
Se da una parte le frane sono fenomeni naturali, dall’altra l’intervento dell’uomo e nello specifico di pianificazioni urbanistiche scellerate, consumo di suolo incontrollato in zone dove lo stato di fragilità del territorio è evidente, insieme all’assenza di attività di manutenzione fanno da inneschi e acceleratori a questi eventi “naturali” trasformandoli in calamitosi.
Diversamente dall’alluvione dell’anno scorso, dove l’attenzione unitaria di tutta la politica davanti al dramma delle donne, degli uomini e del territorio della Romagna, in questi giorni la polemica tra Governo e Regione rischia di mettere in second’ordine la questione ambientale e del dissesto idrogeologico che, con responsabilità unitaria, senza polemiche e senza ideologismi, deve essere trasversalmente la priorità di tutti, a partire dal decisore politico, dal cittadino, dal lavoratore e dalle imprese.
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