Sono restio a intervenire per commentare a caldo gli eventi alluvionali che affliggono il nostro territorio. La ricerca ama tempi lunghi, ponderazione, molta osservazione e ragionamenti essenziali conseguenti e coerenti con l’osservazione. Bisognerebbe innanzitutto guardare, vedere, osservare, vagliare, ponderare e poi estrarre l’essenziale senza lasciarsi fuorviare da fatti accessori scambiati come elementi essenziali. Ogni evento poi presenta delle peculiarità che non si prestano a essere spiegati con dei pre-concetti.
Mi limiterò dunque a richiamare alcuni aspetti di un intervento che ebbi modo di fare nella sessione Acqua e Cultura, sotto il patrocinio della Cattedra Unesco “Water Resources Management and Culture” retta dal prof. Lucio Ubertini, all’interno della XLI Edizione (2020) di “Italian Conference on Integrated River Basin Management”, che si svolge ogni anno, dal 1980, all’Università della Calabria e che raccoglie gli studiosi che in Italia si occupano di difesa del suolo.
Penso sia lecito partire da un dato di fatto. Le alluvioni in Italia non sono una novità. Se pensiamo che esse affliggono l’Italia da secoli, evidentemente sono fenomeni la cui causa non è del tutto ascrivibile ai cambiamenti climatici. Negli anni 70 del secolo scorso fu consegnata al Parlamento una monumentale diagnosi sullo stato del territorio nazionale, redatta dalla celebre “Commissione interministeriale per lo studio della sistemazione idraulica e della difesa del suolo”, nota come Commissione De Marchi, dal nome dell’ingegnere idraulico Giulio De Marchi, professore al Politecnico di Milano.
L’aspetto per me interessante è l’approccio proposto da De Marchi: “Le attività intese alla difesa idraulica e del suolo debbono inquadrarsi nella visione d’insieme dei problemi di singoli bacini, o gruppi di bacini idrografici considerati come unità inscindibili”.
Il che mi sembra una potente sollecitazione alla ragione di applicarsi al problema della difesa del suolo abbracciando il più organicamente possibile la totalità dei fattori in gioco. Questo nella difesa del suolo si può fare solo se innanzi tutto si applicano i metodi che ci consentono di renderci conto e quantificare gli effetti che un qualsiasi intervento antropico provoca, non solo nelle immediate vicinanze dell’intervento operato, ma su tutto il bacino idrografico.
Ora, se consideriamo che in seguito ai lavori della Commissione De Marchi l’Italia si dotò nel 1989 di una legge sulla difesa del suolo (legge 183/1989) e che l’impianto olistico di questa legge avrebbe dovuto garantire nel tempo la messa in sicurezza del territorio e la tutela degli aspetti ambientali, la non diminuita frequenza con cui le alluvioni hanno continuato ad affliggere l’Italia indica che quell’interezza di sguardo proposta da De Marchi e rifluita nella legge non si è praticata. Lo sguardo è rimasto miope, in grado di focalizzare il particolare ma incapace di guardare il panorama intero.
C’è bisogno di saper cogliere e quantificare le molteplici interrelazioni tra gli aspetti più squisitamente impiantistici e il territorio di riferimento.
I fenomeni alluvionali non sono fenomeni disordinati: sono l’espressione invece del massimo ordine, che è quello dettato dalle leggi della natura. Sono così ordinati che noi possiamo decodificarne il comportamento e descriverlo con linguaggio matematico. Questi fenomeni sono descrivibili, dunque anche simulabili, con le leggi dell’idraulica.
Pertanto un ruolo centrale nella difesa del suolo, per il problema delle alluvioni, è quello dell’ingegneria idraulica.
In Italia vi è una grandiosa tradizione nell’idraulica che non è possibile sintetizzare in poche righe, né sarebbe breve l’elenco dei nomi che accanto alle pietre miliari come Vitruvio, Leonardo da Vinci, Galileo, Torricelli arrivano giù giù fino a tutti i ricercatori e gruppi di ricerca che in tantissime università italiane hanno coltivato e ancor oggi coltivano questa scienza. Oltre che una scienza è anche una tecnica e un’arte, fatta di una solida preparazione fisico-matematica, inscindibilmente legata alla conoscenza dei fenomeni idraulici e della loro interazione con il territorio, conoscenza conseguita per osservazione diretta, sia in laboratorio sia in campo, tutto ciò come base solida su cui impiantare la progettazione delle opere.
Gli strumenti fisico-matematici oggi disponibili nell’ambito dell’ingegneria idraulica, abbinati a un’accurata rappresentazione topografica del territorio e a grandi potenze di calcolo, consentono di prevedere gli effetti che le alluvioni, anche quelle più gravi, generate o no dai cambiamenti climatici, possono operare sul territorio, sia in zone extraurbane sia in ambito cittadino. Nella valutazione di questi effetti non possono rimanere fuori le conseguenze di una mancanza di presidio diffuso della rete idrografica, dovuto all’abbandono delle campagne, che ha generato un diffuso disordine idraulico e un inselvatichimento del territorio.
Anche nella progettazione di singoli manufatti, l’attenzione non si deve fermare all’opera in sé ma deve essere condotta in modo tale da considerare e, possibilmente, quantificare quali possano essere gli effetti di quest’opera nell’intorno. Ad esempio non si può limitare l’attenzione all’effetto diretto che si vuole esercitare sul fiume costruendo un’opera di difesa ma si deve anche essere consapevoli di come il fiume e l’ambiente circostante reagiranno quando avranno subito una modifica dalla realizzazione di quell’opera. Spesso gli effetti di un intervento strutturale non sono solo nelle immediate vicinanze ma possono verificarsi anche a distanze rilevanti. Questo costringe a tener conto il più possibile di tutti i fattori in gioco. Considerazioni analoghe possono essere fatte riguardo ai ponti che interferiscono con i fiumi e i torrenti. La gran parte dei crolli dei ponti avviene non per motivi strutturali bensì per cause idrauliche.
L’analisi degli effetti degli interventi sui fiumi deve necessariamente comprendere la valutazione degli aspetti sulla qualità dei corpi idrici, secondo l’approccio olistico che dovrebbe essere colto nel Testo unico sull’ambiente (decreto legislativo 152/2006). L’idoneità di un corpo idrico a garantire la qualità in termini di habitat deve poter avvenire il più possibile in modo quantitativo e non solo descrittivo, ad esempio per ciò che riguarda la diffusione/dispersione di inquinanti, la velocità dell’acqua e la sua profondità, la temperatura, il contenuto di ossigeno, la torbidità ecc. Ciò richiede necessariamente, ancora una volta, il ricorso a una modellistica idraulica, come base per le successive valutazioni da farsi in ambito idro-biologico e naturalistico.
Tutto ciò può essere fatto già nel quadro della normativa vigente, in primis il decreto legislativo 152/2006 nonché la normativa europea e gli atti nazionali conseguenti. Nell’ambito delle alluvioni i punti di riferimento sono la direttiva 2007/60 CE e il decreto legislativo n. 49/2010.
Le leggi ci sono. Bisognerebbe semmai semplificare la vita e dare gli strumenti a chi è chiamato ad applicarle. Ma questo è un altro capitolo.
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