La bomba è scoppiata. E non facciamo finta che sia un caso. Non conta chi ha dato fuoco alla miccia o chi non ha evitato che le scintille si consumassero sino alla deflagrazione. L’iscrizione della Meloni, dei ministri Piantedosi e Nordio e del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Mantovano, nel registro delle notizie di reato non è un gesto neutro sul piano politico. Ma va chiarito un passaggio fondamentale. Il procuratore Lo Voi, per legge, non ha compiuto neppure un atto di indagine, né ha potuto approfondire la questione. Non può. Ha dovuto mandare “gli atti” (la denuncia dell’avvocato Li Gotti e qualche carta) al Tribunale dei ministri. Un collegio speciale che potrà decidere se indagare, archiviare o chiedere un rinvio a giudizio e che dovrà passare per il Parlamento per poi approdare in un’aula di giustizia.
Insomma un percorso pieno di ostacoli e passaggi formali che rendono già sin d’ora improbabile che questa vicenda arrivi da qualche parte. Ed i motivi sono semplici: se l’atto omissivo di Nordio e l’espulsione di Almasri sono frutto di una scelta di opportunità politica, sostenuta ad esempio da impegni o convenienze “riservate” o “segrete”, l’operato dei ministri verrà posto in oblio con altissima probabilità già nelle indagini, se si faranno. Se poi si arrivasse al voto in Parlamento, l’attuale maggioranza difficilmente mollerebbe la Meloni per spedirla a processo. Il che rende la concreta possibilità di un approdo in aula a dir poco remotissima.
È invece certo che questo percorso tecnico molto accidentato ha aperto la via dello scontro e certifica che il rapporto tra politica e magistratura non può che risolversi con la prevalenza di una e la sconfitta dell’altra. O arretra il Governo, con dimissioni ed elezioni, o la Magistratura accetta che una potenziale indagata, assieme a mezzo governo, continui ad esercitare i suoi poteri, compresi quelli di modificare le regole.
È qualcosa di nuovo, rispetto al passato. Perché le inchieste che hanno mandato a casa Berlusconi (1994, avviso di garanzia a Napoli) e Prodi (2007, inchiesta su Mastella con voto in aula) sono un passato remotissimo. A cui si aggiungono anni di urla delle opposizioni contro l’avversario indagato. Non funzionò all’epoca, per far fuori definitivamente gli avversari, e non funzionerà ora se le opposizioni si accaniranno.
Anzi, per la Meloni è un momento di grande crescita del suo impegno per la riforma, che rischia, suo malgrado, di essere epocale. Non tanto per il pregio delle norme, quanto per la profonda modificazione che genera nel corpo sociale del Paese che oggi, sondaggi e social alla mano, pare pronto a dare fiducia alla politica più che alla magistratura. È un cambio di paradigma che è maturato anche per la stanchezza, e gli scarsi risultati, delle inchieste “politiche”.
Stavolta non si tratta di mariuoli presi con il bottino nelle tasche. Si sta mettendo in discussione, da parte di un pezzo di magistratura, un indirizzo politico (quello sui migranti) e una serie di scelte delicate (il caso Almasri) su cui la maggioranza degli italiani ragiona – non per tutti correttamente, per carità – con il buon senso. Che suggerisce di regolare e gestire i flussi migratori e di fidarsi del Governo quando si tratta di scelte riservate. La magistratura può e deve svolgere un ruolo di custode delle leggi, ma non può e non deve dare corpo ad una visione di politica collettiva contraria al Governo nelle aule di giustizia. È male antico che viene dai pretori d’assalto degli anni 70, quando giovani magistrati innovavano la giurisprudenza su questioni come la casa ed il lavoro con provvedimenti “rivoluzionari”. Ma allora il conflitto nella società era reale, oggi non pare esserci un clima da imminente rischio rivoluzionario. È questo, forse, che va chiarito definitivamente. Nel sistema democratico attuale la politica “social” ha più consenso e forza dei sistemi chiusi e sacrali come la magistratura che, da questa deflagrazione, rischia di trovarsi messa nell’angolo molto di più di quanto volessero davvero la Meloni ed il suo governo. E tutto per non aver spento la miccia al momento giusto.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.