Giorni di altissima tensione in Israele. Dopo l’arresto di Bassem a-Saadi, leader della Jihad islamica in Cisgiordania, le forze di Tel Aviv hanno condotto un’operazione militare sulla Striscia di Gaza nella quale è stato ucciso un comandante dell’organizzazione, Taysir al Jabari, e colpiti alcuni obiettivi. Il leader della Jihad non ha utilizzato mezzi termini: “Sarà guerra”.
“Si potrebbe iniziare – commenta per il Sussidiario Filippo Landi, già corrispondente Rai da Gerusalemme – ricordando che le guerre alla vigilia delle elezioni politiche in Israele non portano fortuna a chi le comincia. Fu il caso clamoroso di Olmert e del suo braccio destro Tzipi Livni, che attaccarono Gaza a pochi mesi dal voto. Netanyahu sbaragliò il campo del centrodestra e diventò nuovo primo ministro per la seconda volta. Oggi questo paragone aiuta a giudicare quello che sta accadendo. Le elezioni in Israele ci saranno il 1° novembre e i politici oggi alla guida di Israele, cioè Lapid e il ministro della difesa Gantz, vogliono dimostrare all’elettorato di destra o di centrodestra indeciso che loro possono garantire la sicurezza di Israele come e più di Netanyahu”.
Questo è il giudizio politico, ma c’è anche un aspetto militare…
Questione complessa, perché l’arresto del capo della Jihad della Cisgiordania di lunedì non ha provocato un’immediata reazione su Israele e nel sud d’Israele. Oggi (ieri, ndr), invece, l’esercito israeliano ha deciso di colpire ugualmente nel cuore di Gaza, uccidendo un altro esponente della Jihad. È un atto militare, ma è indiscutibilmente anche un atto politico.
Chi si sta rafforzando di più, dunque, in vista delle elezioni? C’è l’eventualità di un ritorno di Netanyahu?
Netanyahu oggi è all’opposizione, ma in realtà non esiste una maggioranza di governo, tant’è vero che la maggioranza uscente è stata costretta alle dimissioni e quindi si va al voto. Netanyahu, come è nella sua tradizione politica, punta a formare un blocco di centrodestra con all’interno i partiti religiosi, che hanno sempre rappresentato uno dei cardini della sua alleanza, e che trova l’altra gamba nel vecchio partito Likud. A fronte di questo c’è una situazione in cui molto verrà deciso da quante persone andranno a votare e, tra queste, quanti arabi israeliani lo faranno. Ricordiamo che rappresentano il 20 per cento dei cittadini israeliani.
Molto si gioca sull’affluenza alle urne…
È molto interessante il fatto che alcuni sondaggi di questi ultimi giorni stanno indicando una ripresa di alcuni partiti che sembravano estinti, come il partito laburista o come il partito di sinistra Meretz. Il ritorno in campo di questi due partiti rappresenta un’assoluta novità da verificare al momento delle elezioni.
Questa situazione così delicata quanto può influire sulla politica estera?
Sui rapporti tra Israele e Iran pesa la recente visita in Israele di Biden, che ha detto a chiare lettere che non è sul tappeto l’ipotesi di un attacco militare all’Iran. I colloqui con l’Iran per trovare un accordo sul nucleare andranno avanti, seppure con prudenza. Questa scelta di attesa da parte degli Usa di un possibile accordo con l’Iran rappresenta un elemento che gli israeliani hanno storicamente sfruttato: qualora non possano premere sul pedale di una coalizione militare contro l’Iran, hanno sempre chiesto all’America mano libera all’interno dei territori palestinesi. Quello che sta accadendo in queste ore, soprattutto a Gaza, non sarebbe stato possibile se indirettamente non ci fosse stata una non-opposizione americana ad azioni così politicamente rilevanti e che possono sfociare in un conflitto più ampio.
Intanto la Jihad islamica si dice pronta a colpire Tel Aviv.
Questo è già accaduto, anche recentemente. I raid che possono partire da Gaza in mano ai miliziani di Hamas e della Jihad hanno raggiunto la periferia di Tel Aviv e l’area aeroportuale. Non è certo una sorpresa per i militari e per i politici israeliani. Se hanno calcolato di proseguire nelle azioni che stanno facendo, mettendo anche sul tappeto il rischio di essere attaccati nel cuore del Paese, è evidente che il calcolo politico si accompagna a quello militare. Anche se c’è da segnalare un’altra cosa che è venuta fuori nelle ultime ore.
Ovvero?
C’è una dichiarazione di Lapid che dice che è sua volontà riportare la normalità al più presto possibile nel sud di Israele. Cosa significa? Significa che l’arco politico israeliano è molto più complesso e diviso su quello che si sta compiendo. Non c’è dubbio che i militari spingono per un attacco su Gaza, ed è possibile che il ministro della difesa Gantz sia su questa linea. Ma mi sembra da questa dichiarazione che il primo ministro voglia evitare un conflitto a tutto campo. Ma certe azioni hanno una valenza politica e militare insieme”.
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