Alvin Lucier, compositore morto nel 2021, prima del decesso ha deciso di donare il proprio sangue ad un team di ricercatori e musicisti, che si sono messi al lavoro per trasformare le sue cellule ematiche in cellule staminali, e infine in una rete neurale. Come si legge stamane su Il Giornale, il risultato è che la rete è stata messa in relazione con degli elettrolidi in quel di Venezia e mercoledì scorso è stata utilizzata presso Ca’ Giustinian per il concerto «Music for Surrogate Performer». Come scrive ancora il quotidiano meneghino le cellule in questione, che sono state sollecitate in maniera debita, hanno mostrato una “vivacità, uno spirito di indipendenza e di iniziativa, mandando input, dialogando in maniera percussiva con un batterista, facendo «suonare» tamburi”.



Una situazione che ovviamente ha sconcertato il pubblico e non poco. Tramite una tavola rotonda tenuta presso la Biblioteca dell’Archivio Storico delle Arti Contemporanee, si è deciso di spiegare nel dettaglio cosa sia successo con le cellule di Alvin Lucier, alla presenza di musicisti e studiosi come Guy Ben Ary, Ali Nikrang, Yoko Shimizu e Nathan Thompson, e Gerfried Stocker. La ricerca, chiamatasi cellF, è cominciata precisamente nel 2015, quando si è deciso di mettere insieme un pool composto da scienziati, ma anche artisti e musicisti, con l’obiettivo di «creare il primo sintetizzatore modulare analogico biologico basato sui neuroni, o performer surrogato cibernetico».



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In poche parole un congegno che utilizza materiale umano e circuiti elettronici che ha dato vita anche a «a un nuovo filone nell’ambito della performance e della produzione sonora», un progetto in cui il «“cervello”, staccato dal corpo, è costituito da reti organiche coltivate su una piastra Petri (recipiente di vetro o plastica usato in biologia per la crescita di colture cellulari)», hanno fatto sapere gli esperti.

Secondo quanto sostenuto dai ricercatori, comunque, la parte tecnico-musicale-sperimentale, non vuole e non può avere «la precisione che ha la scienza», di conseguenza il tutto andrebbe visto sul piano filosofico, a cominciare ad esempio dal capire se le cellule utilizzate per il concerto conservino ancora la memoria del suo “proprietario”. La vita dopo la morte potrebbe non essere più solo un sogno o un’idea di un film di fantascienza.