Il Segretario generale della Cgil Landini ha proposto di aumentare le tasse sugli extraprofitti, già al 25% dopo due interventi del Governo, sulle rendite finanziarie oltre a introdurre un contributo di solidarietà una tantum per aumentare i salari. La proposta in una fase in cui il potere d’acquisto dei salari viene mangiato dall’inflazione appare immediatamente allettante. Effettivamente le aliquote sui redditi da lavoro in Italia sono particolarmente alte e disincentivano tra l’altro il miglioramento della posizione lavorativa. I risparmi vengono tassati di meno e oggi sono particolarmente odiosi i profitti delle società energetiche. A prima vista quindi non ci sarebbe niente da eccepire.
Queste proposte oggi arrivano in un contesto che è difficile da inquadrare perché è completamente nuovo. Nello scenario attuale si dibatte su come dividere la torta più equamente o in modo più efficiente senza rendersi conto che la torta sta scomparendo alla velocità della luce sotto i colpi della povertà energetica e di un’inflazione che non è, in primis e direttamente, un fenomeno monetario ma la conseguenza della rottura delle catene di fornitura globale, della mancanza di energia e di altre materie prime.
I prezzi delle materie prime, a partire dal petrolio e dal gas, non salgono perché la domanda è forte ma perché l’offerta è scarsa. È per questo, per inciso, che i rialzi dei tassi con cui si tenta di comprimere la domanda rischiano di fare più male che bene; in questo contesto, anzi, qualsiasi riduzione di capacità produttiva, per esempio in conseguenza della crisi, peggiora il problema.
Aumentare i salari alzando le tasse sulle “rendite” o chiedendo una tantum o alzando la tassa sugli extraprofitti è una misura dal respiro cortissimo. Se le cause dell’inflazione non solo non si arrestano, ma addirittura peggiorano, qualsiasi aumento dei salari è destinato a venire neutralizzato in pochissimo tempo; oggi l’inflazione è prossima al 10% e per le classi medie e medio-basse è più alta. Non c’è aumento dei salari che possa tenere il passo di questi ritmi. Sospettiamo che l’inflazione che stiamo subendo non sia uno sprone alla ricerca del lavoro soprattutto tra i giovani.
Per risolvere il problema di “questa” inflazione occorre risolvere la questione della povertà energetica, risolvere il problema, in modo creativo, della mancanze di materie prime e ricostituire gli incentivi a lavorare; poter risparmiare e poter difendere i risparmi è sicuramente uno di questi anche come condizione di “libertà”. Per moltissimi italiani, per esempio, avere una casa di proprietà, la forma più popolare nel senso pieno del termine di risparmio, è anche questo.
Includere nella ricetta un ulteriore aumento della tassa sugli extraprofitti denuncia in un certo senso i limiti della proposta. Un’impresa che viene da dieci anni di prezzi bassi, che vede minacciose le nuvole della recessione e un’extra tassa, con il terzo aumento in meno di tre mesi, tutto vorrà fare tranne che investire. Oltretutto in un clima di intervento statale asfissiante sulla “transizione energetica”. Massacrare il risparmio che è una delle condizione necessarie per avere investimenti privati in un contesto che è già di profondo incertezza regolamentare e fiscale è pericoloso.
Gli aumenti salariali finanziati dal risparmio sono, in questa fase, uno specchietto per le allodole. Non solo gli aumenti spariscono via inflazione alla velocità della luce, ma anche i risparmi smettono velocemente di essere una risorsa a cui attingere. L’inflazione mangia i risparmi e le attuale regole impediscono che il loro impiego porti frutto. Il trasferimento da risparmio a salari in questo scenario ha l’unico effetto di distruggere progressivamente qualsiasi autonomia finanziaria personale.
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