I biochip potrebbero aiutare nella cura delle malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e il Parkinson, correggendo gli errori nell’elaborazione e nella trasmissione delle informazioni che si verificano nel corpo umano. È questa la speranza di Francesca Santoro, ricercatrice napoletana del Forschungszentrum Jülich e docente dell’Università RWTH di Aquisgrana che sta studiando gli innumerevoli potenziali utilizzi di questi preziosi strumenti. Essi, infatti, sono anche capaci di sostenere gli organi che non funzionano più correttamente e fungere a interfaccia tra arti o articolazioni artificiali.



Il team di ricerca, come viene ricostruito da Il Mattino, sta sviluppando diversi approcci per i chip biolettronici, dato che è stato dimostrato che questi riescono a interagire in modo efficace con il corpo umano e, in modo particolare, con le cellule del sistema nervoso. L’obiettivo è quello di correggere, attraverso essi, i malfunzionamenti nel cervello e non solo. Un primo successo è stato raggiunto con l’occhio.



Alzheimer e Parkinson, si studiano biochip capaci di correggere errori: il progetto dell’italiana Francesca Santoro

È stato sviluppato nei mesi scorsi, infatti, un biochip capace di imitare la retina dell’occhio. Essa si comporta in modo intelligente, esattamente come il nostro naturale organo, costruendo una memoria proprio come fa il cervello. Non si tratta dunque di un impianto retinico standard, già usato per ridare la vista a chi l’ha persa, ma di una vera e propria novità nel campo della medicina. 

Il nuovo chip potrebbe aiutare gli impianti retinici a fondersi ancora meglio con il corpo umano in futuro. Il meccanismo si basa su polimeri conduttivi e molecole sensibili alla luce complete di percorsi visivi. “Il materiale è stato sintetizzato e poi caratterizzato: siamo stati in grado di dimostrare che le proprietà tipiche della retina possono essere imitate con esso”, ha spiegato la ricercatrice napoletana Francesca Santoro. I primi risultati dello studio sono entusiasmanti.