Uno studio recente su un paziente affetto dal morbo di Alzheimer ha portato all’innovativa scoperta di un gene che funzionerebbe come “difensore” dalla stessa malattia. Lo studio pubblicato sulla celebre e prestigiosa rivista Nature, condotto da un gruppo di ricercatori del Massachusetts General Hospital di Boston, potrebbe portata allo sviluppo di tutta una nuova serie di terapie contro il morbo attualmente incurabile, ma dal punto di vista della prevenzione dalle forme più gravi di Alzheimer. Il paziente, infatti, era portatore di una particolare variante del morbo, che tipicamente si sviluppa attorno ai 44 anni e che nel suo caso è arrivata attorno ai 67.
Il gene difensore per l’Alzheimer
Insomma, lo studio sul morbo di Alzheimer potrebbe aprire ad una nuova serie di possibili terapie preventive contro gli episodi gravi della malattia, partendo proprio dal gene scoperto per la prima volta nella paziente in questione. Si tratterebbe di una rara variante del gene Reln (tipicamente presente in tutte le persone, ma in forma “classica”), che produce la proteina chiamata “reelina”, ed offrirebbe protezione, da quanto si è appreso fino ad ora, contro la malattia nella sua accezione autosomica dominante (Adad).
Il paziente, infatti, era noto per essere portatore della variante genetica di Alzheimer nota come Paisa (Presenilina-1 E280A). Lo sviluppo medio di questa variante porta a manifestare i primi segni di deterioramento cognitivo attorno ai 44 anni ed alla demenza a 49 anni, con un decesso stimato attorno ai 60. L’uomo, tuttavia, non aveva presentato alcun sintomo fino ai 67, mentre la demenza era sopraggiunta a 72, portando al suo decesso all’età di 74 anni. Non sarebbe, inoltre, il primo caso di paziente affetto da Alzheimer Paisa che presenta uno sviluppo diverso, e nel 2019 si era già studiato un caso analogo, ma senza capirne le motivazioni. Secondo il co-autore dello studio Joseph Arboleda-Velasquez, la scoperta del genere Reln “indica un percorso che può produrre un’estrema resilienza e protezione dai sintomi” della malattia, fornendo una nuova indicazione terapeutica su un’importante regione del cervello, in cui il gene viene codificato.