Alzheimer: la molecola sviluppata dal team italiano

Uno studio svolto sul morbo di Alzheimer da un team italiano composto da riscercatori della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta, in collaborazione con l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, ha messo a punto una molecola sperimentale, ma rivoluzionaria, che è in grado di bloccare l’accumulo delle placche di proteina beta amiloide nel cervello. Il morbo che colpisce circa 50 milioni di persone nel mondo, è caratterizzato proprio dall’accumulo di queste placche che danneggiano il cervello e le sinapsi, causando la più diffusa forma di demenza al mondo.



La rivoluzionale molecola, formata da sei amminoacidi, è stata testata su dei topi di laboratorio somministrandogliela per via internasale e si è osservato come è riuscita ad inibire l’aggregazione della proteina beta amiloide. L’effetto ottenuto, dunque, è quello di proteggere le sinapsi dagli effetti neurotossici della proteina negli animalli, rallentando il processo di deposizione della beta amiloide stessa. I topi trattati erano affetti da una forma precoce del morbo di Alzheimer, ed ora non rimane che testare la sicurezza dell’uso della molecola nell’essere umano, seppur finora non sia stata osservata la comparsa di nessuno dei sintomi collaterali tipici degli altri trattamenti contro l’Alzheimer.



Molecola rivoluzionaria contro Alzheimer: “Vantaggiosa, ma occorre prudenza”

Insomma, la molecola messa a punto dal team italiano che potrebbe prevenire la formazione delle placche di beta amiloide tipiche dell’Alzheimer, costituisce un importante passo avanti nella ricerca contro questo particolare morbo. A dirlo sono anche i professori Fabrizio Tagliavini e Giuseppe Di Fede, neurologi del Besta ed autori dello studio, che ad Ansa hanno sottolineato come gli effetti positivi della molecola sperimentale “costituiscono una combinazione apparentemente vincente nell’ostacolare lo sviluppo della malattia nei topi”.



Ha commentato lo studio sulla molecola rivoluzionaria contro l’Alzheimer anche Marco Trabucchi, presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria e direttore scientifico del Gruppo di ricerca Geriatria di Brescia, che al Corriere ha sottolineato che lo studio “va accolto con grande prudenza”, perché “la trasposizione del modello animale nel mondo umano spesso riserva qualche sorpresa”. Nonostante questo, però, sostiene anche che lo studio è “molto importante”, sottolineando anche che la via di somministrazione internasale potrebbe rivelarsi “molto adeguata alle difficoltà dei pazienti anziani”, trovandosi inoltre “più vicina all’encefalo” potrebbe rappresentare un vantaggio dal punto di vista degli effetti collaterali.