Amanda Knox di nuovo a processo in Italia, stavolta con l’accusa di calunnia. Ma la cittadina americana non era questa mattina nell’aula della Corte d’assise di appello di Firenze dove si è aperto il procedimento in cui i giudici devono decidere se calunniò o meno Patrick Lumumba accusandolo di aver ucciso Meredith Kercher, uccisa nel 2007 a Perugia. Il nuovo processo è stato disposto dopo che è stato disposto dalla Cassazione l’annullamento delle sentenze con cui la scrittrice Usa era stata condannata a tre anni di carcere per aver coinvolto Lumumba, in virtù della violazione del diritto di difesa accertato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.



La decisione si è basata sull’articolo 628 bis del codice di procedura penale che prevede la possibilità di chiede l’eliminazione degli “effetti pregiudizievoli” derivanti dalla violazione del diritto all’assistenza difensiva e linguistica, in quanto ad Amanda Knox, nonostante fosse già una sospettata, non venne chiamato un avvocato e non venne assistita in modo adeguato nel redigere il memoriale che scrisse in questura la sera del 6 novembre. In virtù di ciò, la Suprema Corte ha disposto il rinvio per un nuovo esame sul punto.



PG CHIEDE CONFERMA DELLA CONDANNA

Il procuratore generale Ettore Squillace Greco nel corso del processo ha chiesto la conferma della condanna a tre anni di reclusione per Amanda Knox, accusata del reato di calunnia nei confronti di Patrick Lumumba, in quanto lo indicò come il possibile assassino di Meredith Kercher. I tre anni, comunque, sono stati già scontati durante la carcerazione preventiva per l’omicidio della studentessa britannica, accusa per la quale l’americana è stata definitivamente assolta con il fidanzato dell’epoca Raffaele Sollecito.

Di fatto, l’unico a essere condannato per l’omicidio di Meredith Kercher è stato Rudy Guede, che ha avuto una pena di 16 anni di carcere con rito abbreviato. Invece, Lumumba, che all’epoca era suo datore di lavoro in un pub di Perugia, nella prima fase d’indagine rimase in carcere per 14 giorni prima di essere scagionato. Per il procuratore generale, Amanda Knox sarebbe stata «consapevole dell’innocenza di Lumumba» e «consapevole di fare agli inquirenti il nome di una persona che non c’entrava nulla con l’omicidio». I difensori della scrittrice americana, gli avvocati Carlo Dalla Vedova e Luca Lipari Donati, puntano all’assoluzione della loro assistita.



IL PRESUNTO MOVENTE DELLA CALUNNIA PER L’ACCUSA

«Patrick Lumumba è stato in carcere da innocente, il delitto di calunnia deve essere ritenuto sussistente, Amanda Knox sapeva che Patrick non era stato in quella casa», ha aggiunto il procuratore generale in aula. Ettore Squillace Greco ha premesso di non voler rilasciare «nessun commento su come si sono svolte le indagini in questo processo», quindi ha dichiarato di non voler cedere «alla tentazione di rimettere in discussione la responsabilità dell’omicidio». Le parole confuse di Amanda Knox indirizzarono le indagini su Lumumba, che venne arrestato. Nel memoriale fece quattro volte il suo nome. Per il procuratore sussistono sia l’elemento soggettivo che oggettivo ai fini della calunnia, «reato che si commette quando chi fa l’accusa è consapevole di accusare un innocente». E Amanda Knox lo era per l’accusa.

«Patrick in quella casa non c’era, si è salvato perché ha trovato uno svizzero preciso come gli orologi che costruiscono che aveva conservato lo scontrino. All’ora dell’omicidio era andato nel suo locale, Lumumba era lì al pub quando lo svizzero ha preso una bibita. Lumumba si è salvato per uno straordinario colpo di fortuna». Secondo l’avvocato Carlo Pacelli, difensore di Patrick Lumumba, parte civile del processo, «Amanda è una ragazza molto intelligente, sempre presente a se stessa ed effettivamente», quindi il suo parere riguardo il movente della calunnia, riporta La Nuova Sardegna, «sta è nel fatto che si sentiva pressata dagli investigatori e per sviare le indagini ricorre a un classico di queste situazioni: fa il nome di un falso colpevole, spende il nome di un innocente sapendolo innocente».