Amanda Knox torna a parlare dell’omicidio di Meredith Kercher edella detenzione in Italia. Lo fa con l’amarezza di chi è stata ingiustamente detenuta, essendo stata poi assolta dal caso. «In prigione ho desiderato il futuro che avrei dovuto vivere. Ma solo quando ho accettato il mio destino ho trovato la forza di andare avanti», racconta a Free Press. Era il novembre 2007. L’americana fu accusata di aver preso parte all’omicidio della compagna di stanza, studentessa inglese, «nonostante non ci fossero prove che mi collegassero all’omicidio e ci fossero molte prove di Dna che implicavano uno stupro e l’accoltellamento a morte». Cinque giorni dopo il delitto, lei e l’allora fidanzato Raffaele Sollecito furono arrestati e accusati dell’omicidio. Fu poi condannata a 26 anni di carcere: «Quando la terra mi è caduta sotto i piedi e la vergogna globale mi è piovuta addosso, ho avuto la mia prima epifania in assoluto».



Nei mesi successivi la scrutò, provando a valutarne tutte le implicazioni. «La mia vita era deragliata nel momento in cui la mia compagna di stanza, Meredith Kercher, era stata brutalmente violentata e uccisa». L’accusa, a detta di Amanda Knox, si basava «su un’intuizione della polizia e su una confessione forzata che la polizia mi ha fatto firmare con il gas: dopo 53 ore di interrogatorio in cinque giorni, in una lingua straniera e senza un avvocato, dopo essere stata privata del sonno e picchiata e avermi detto che avevo un’amnesia, mi hanno fatto cedere e ho firmato ciò che mi avevano detto di firmare».



“IN PRIGIONE PER UN OMICIDIO MAI COMMESSO”

Poco più di una settimana dopo arrivarono le prove forensi che coinvolgevano Rudy Guede. Amanda Knox a Free Press ricorda le tracce di Dna dell’ivoriano su tutta la scena del crimine, sul corpo di Meredith Kercher, le impronte digitali e dei piedi nel sangue. «Non è stata trovata una sola traccia di me in quella stanza, e non sarebbe stato possibile per me partecipare a quella lotta violenta e sanguinosa senza lasciare alcun Dna», rimarca l’americana. Ne ha anche con i media, ricordando «tutte le bugie raccontate su di me dalla stampa», ma anche con l’accusa per «la folle teoria dell’accusa, un gioco erotico finito male». Era comunque convinta che la vicenda sarebbe stata chiarita. Ma ci sono voluti due anni per arrivare alla sentenza, che la condannò. Ricorda anche le reazioni delle guardie del carcere: «Pensavano che, visto che non singhiozzavo istericamente, non avessi assorbito il fatto che avrei passato i prossimi 26 anni intrappolata in questo posto». Ma lei era tranquilla per un motivo preciso: «Ero un prigioniera e la prigione era la mia casa». Amanda Knox era convinta di trovarsi in un limbo, tra la sua vita, cioè quella che avrebbe dovuto vivere, e quella di qualcun altro, cioè di un assassino. «La mia vita era triste. Ero in prigione per un crimine che non avevo commesso». Riusciva solo a pensare alla vita che non avrebbe avuto: «Non mi sarei mai innamorata, non avrei mai avuto figli, non avrei mai fatto carriera».



“IMMAGINAVO TUTTI I MODI PER UCCIDERMI…”

Ma quella era comunque la sua vita, quindi Amanda Knox capì che avrebbe dovuto darle comunque un senso. «Cercai di spiegarlo a mia madre, ma non mi sentiva. Pensava che fossi depressa e che mi stessi arrendendo». Non voleva accettare che la prigione sarebbe stata la sua vita. Intanto, iniziò a immaginare realtà alternative e a pensare al suicidio. «Immaginai tutti i modi in cui avrei potuto farlo. Un compagno di cella aveva provato a rompere una penna di plastica in frammenti e a ingoiarli. C’era sempre la candeggina per bere. Pensai a come procurarmela e a quanta ne avrei dovuta bere. Mi immaginavo mentre mi spegnevo nella doccia, con i polsi tagliati e l’acqua che lentamente portava la mia vita giù per lo scarico». A quel punto arrivò a chiedersi come rendere la sua vita degna di essere vissuta, riprendendola in mano. Era comunque triste, ma non priva di energia, «perché ero viva con me stessa, con la mia sanità mentale e con la sensazione liberatoria di vedere chiaramente la realtà, per quanto triste fosse». Amanda Knox conclude poi su Free Press parlando della libertà ritrovata, evidenziando che continua a sentirsi su una corda tesa che attraversa un abisso di nebbia senza fondo: «Per molti versi, anche se ora sono libera, legalmente vendicata, una donna con una carriera nelle arti (come avevo sempre sognato), una sostenitrice della giustizia (cosa che non avevo mai sognato), una moglie con un marito amorevole, una madre con un figlio gioioso, sto ancora camminando su quella corda tesa».