Avete in mente il caso del ceo di McDonald’s, “giustiziato” su pubblica piazza per aver avuto un amante all’interno della catena di ristoranti forse più famosa al mondo? Ecco, tenete conto che il caso di Steve Eastkrbrook in termini di policy aziendale è nulla a confronto delle “regole” (o forse meglio sarebbe meglio chiamarle “follie”) di Google, Facebook, Amazon e così via. Le grandi aziende che trasportano l’umanità verso un futuro più giusto ed equo – dopo gli scandali “MeToo” e vedendo discriminazioni praticamente in ogni piè sospinto – si scoprono più rigide del puritanesimo più radicale: «se il superiore finisce a letto con una dipendente, va licenziato, anche se lei è consenziente, entusiasta, innamorata, felice e contenta», lo scrive benissimo Simonetta Sicandivasci sul Foglio in un lungo trattato sulle nuove “follie” delle Big Society di Silicon Valley e simili in termini di “rapporti interpersonali”. Da un lato si invita la società a volere tutto, a fare di ogni desiderio un diritto, dall’altro invece si alza l’asticella del “moralismo” più profondo appena si entra nel luogo di lavoro (dove tra l’altro si passa più della metà della propria esistenza, ndr). Il 51 per cento delle aziende statunitensi prevede, nella propria policy, un “love contract” rigidissimo: amante su posto di lavoro? Licenziamento, senza neanche passare dal via…



AMANTE IN UFFICIO, LE REGOLE ASSURDE DI GOOGLE E FACEBOOK

Ma su Facebook e Google si concentrano le maggiori “curiosità” sul fronte “amante in ufficio=nessun perdono”: il dipendente del social di Zuckerberg (che è sempre quello che sfruttava i dati privati per venderli a pubblicità e simili?) che assista, senza intervenire, a «esternazioni sessiste, bollismi veteropatriarcali, varie e complesse circuizioni di una persona a scopo di sesso o flirt, è secondo l’azienda complice e quindi colpevole dello stesso reato di chi lo commette», scrive l’ottima collega del Foglio. Intendiamoci, avere buone condotte e rapportarsi con rispetto e senza abusi di potere sul luogo di lavoro, a casa, nei bar, tra gli amici, in famiglia eccetera è non solo da “ribaltare” come concezione ma anche da riconquistare, ma è forse più un fattore di educazione e “cura” dell’altro che si ha davanti. La buona “morale” non si “insegna” certo con la regolamentazione ferrea quasi proibizionista imposta sul luogo di lavoro (quando ripetiamo poi appena usciti dall’ufficio si è stimolati a compiere le più pazze e sfrenate “poli-amorosità”): stiamo esagerando? Forse, ma guardate cosa hanno da poco annunciato Google e Facebook con plauso unanime da riunione di partito nordcoreano dei grandi media liberal: si chiama clausola “one strike and you’re out” (un colpo e sei fuori) e significa in pratica che tra colleghi è possibile invitarsi a cena (“Si può”, direbbe Giorgio Gaber) ma solo una volta. Con la seconda si diventa passibili di denuncia per stalking: sì, avete letto bene. È un mondo di costante “prevenzione”, dove molestie, abusi, disuguaglianze sono visti dietro a qualsiasi abbraccio, tocco o sfioramento tra persone umane; negli States non lo conosceranno Jannacci ma fosse qui direbbe ai signori Google e compagnia cantante «Vivere una vita da malati, per poi morire da sani». Oh Yes.

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