“Nel corso dei miei incarichi sono stato anche in Tanzania: lì scavi e trovi solo terra. Nel Congo dell’est scavi e trovi diamanti, oro, uranio. Infatti in Tanzania non ci sono guerre, ma il Congo dell’est è sconvolto da guerre e violenze quotidiane da sempre”. Così racconta Nicolò Carcano, responsabile capo delle strutture Avsi in Congo e in Sud Sudan, che abita con la famiglia a Goma, la città dalla quale l’altro ieri era partito l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, ucciso insieme alla sua guardia del corpo, il carabiniere Vittorio Iacovacci. Con Attanasio vari rappresentanti delle Ong che lavorano in quella zona si erano incontrati proprio la sera prima della sua morte. “Era una persona splendida” dice Carcano al Sussidiario, “lo avevo conosciuto personalmente quando aveva assunto il suo incarico e ha sempre sostenuto e si è impegnato a fondo per noi dell’Avsi e per ogni Ong, ci credeva totalmente, ci teneva ad aiutare la popolazione”.
Quando è stato ucciso stava infatti recandosi in uno dei villaggi sostenuti dal World Food Program per un progetto dove oltre ad aprire scuole elementari si dà cibo ai bambini, “spesso l’unico pasto al giorno che possono permettersi, perché l’educazione è bella, ma è meglio con la pancia piena, e questo lo sosteneva anche Attanasio” ci dice ancora Nicolò. Quello che non sa spiegarsi, dice, è perché l’ambasciatore si sia messo in viaggio su quella strada, “che tutti sanno essere pericolosissima, quando le regole di sicurezza in vigore dicono che nessuno deve prenderla senza la scorta dei Caschi blu”. Purtroppo, Attanasio si è mosso con un solo uomo di scorta.
Da quanto tempo lei si trova in Congo e di cosa si occupa?
Sono Regional Manager e capo missione di Avsi in Congo e nel Sud Sudan. Sono in Congo dal 2018. Ho cominciato a fare questo lavoro nel 2015, di cose brutte ne ho viste, ma non si finisce mai di vederne. Quello che è successo all’ambasciatore ci ha sconvolti.
Lei vive a Goma, la città da dove è partito l’ambasciatore. La situazione in quella regione è così terribile?
Bisogna capire cosa è il Congo, un paese grande come da Lisbona a Varsavia, un continente. Da Kinshasa, la capitale, a Goma c’è dentro tutta l’Africa. Il guaio del Congo è che è un paese ricco. Nella zona est ci sono miniere di ogni cosa che viene in mente: oro, cobalto, rame. Questo purtroppo è un male, perché dove c’è ricchezza c’è lo scontro per dividersi i proventi.
Il Congo è sempre stato uno dei paesi africani più sfruttati da tutti.
Vero. Le multinazionali delle attività di estrazione prima erano tutte americane, belghe, francesi o sudafricane, adesso sono quasi tutte cinesi. Credo non ci sia mai stato un periodo di pace nell’est del Congo. Un gigante senza nessun controllo, uno dei paesi più corrotti del pianeta. La parte est, dove ci sono tutte le Ong, è quella più instabile, essendo appunto la più ricca.
Lei ha conosciuto personalmente Attanasio?
Sì, venne a Goma a febbraio 2020, volle fare una cena in un ristorante italiano con tutti i rappresentanti delle Ong. Vedendolo di persona rimanemmo basiti.
Perché?
Ci aspettavamo il classico diplomatico che ti guarda dall’alto con freddezza, invece trovammo un giovane pieno di entusiasmo, disponibilissimo, molto aperto, che ha sempre fatto di tutto per aiutarci e rendere più fluido il nostro lavoro, cosa che in tanti anni non avevo mai visto.
E poi?
Tornò nella capitale, a Kinshasa, dove era il suo ufficio, ma ci promise che sarebbe tornato, colpito dal fatto che eravamo tanti, dicendo che gli italiani fanno la differenza, che i nostri progetti andavano sostenuti. Lo ha promesso ed è tornato venerdì sera. Domenica sera i miei colleghi sono andati a cena con lui, mi hanno detto che si è riso e scherzato. Alla fine disse che la mattina dopo sarebbe andato a visitare le attività di questo progetto del World Food Program, a due ore di macchina da Goma. Quella strada l’ho fatta una volta sola, ma ho decine di colleghi che l’hanno percorsa centinaia di volte.
C’è chi dice che è una strada sicura.
È una stupidaggine gigantesca, chiunque abbia detto una cosa del genere. Quella strada non è assolutamente sicura. Tutti quelli che vivono a Goma sanno che è una delle strade più pericolose del Congo, che a sua volta è già uno dei paesi meno sicuri al mondo.
E perché allora si è mosso senza la scorta dei Caschi blu?
Questo rimane un mistero terribile. Perché sia partito con due macchine normali senza scorta non si capisce. Noi, ad esempio, come Ong quando ci muoviamo organizziamo dei convogli, ovviamente non armati, essendo operatori umanitari non usiamo le armi, ma un ambasciatore, una personalità ufficiale di alto livello non si capisce perché avesse una scorta composta da un solo uomo armato.
E perché non c’erano i Caschi blu?
Non so dirlo. Se uno non li chiama, non dice chi è e cosa deve fare, i Caschi blu non si muovono per primi. Due macchine non blindate con solo quel povero carabiniere… Forse pensava che fosse sufficiente. È stata un’imboscata, cosa abituale qui in Congo.
Ci spieghi meglio.
Personalmente ho negoziato più volte con bande che avevano rapito nostri collaboratori. Queste bande ti fermano solo e unicamente per chiederti i soldi, per rubare, nessun gruppo ti ferma per ucciderti, vogliono solo i soldi e i rapimenti sono a scopo di estorsione.
Cosa dicono in Congo, ha avuto notizie dirette?
La versione che gira è che siano stati rapiti e che i ranger del parco presenti in quella zona abbiano visto quello che stava succedendo, abbiano sparato senza sapere chi ci fosse in mezzo e nel conflitto a fuoco gli ostaggi siano rimasti uccisi. Questa è una versione. Poi sentiremo – spero – cosa diranno gli investigatori.
Ci sono tante foto dell’ambasciatore su internet, foto con i bambini del luogo e lui sempre sorridente.
Era davvero una brava persona, siamo molto addolorati. Su quella strada ci hanno lasciato la vita centinaia di persone, ma Attanasio lo conoscevo personalmente. Ci teneva all’aspetto umano come prima cosa. Per come lo abbiamo conosciuto, ha fatto di tutto per darci una mano. È stato ucciso mentre faceva il suo dovere di brava persona.
(Paolo Vites)