Il Congo non è un posto come un altro. Soprattutto non lo è la zona in cui si sono svolti i fatti che hanno portato alla morte di Luca Attanasio, ambasciatore d’Italia, e del carabiniere Vittorio Iacovazzi. Si attendono, adesso, dall’indagine dei Ros sul luogo dell’attacco, dall’autopsia e dalla testimonianza dell’italiano sopravvissuto, il funzionario del Wpf Rocco Leone, dettagli che potrebbero risultare decisivi per capire cos’è successo lunedì alle 10.15 sulla strada che va da Goma verso Rutshuru.



Giulio Sapelli, economista, consigliere della Fondazione Eni Enrico Mattei, è stato in Congo molte volte. “Chi controlla il Congo controlla il mondo”, dice al Sussidiario.

Perché, professore?

Per le sue terre rare. Il sottosuolo è tra i più ricchi del mondo. Non ci sono solo oro e diamanti, ma tormalina, coltan, tungsteno, wolframite. La zona mineraria della provincia del nord Kivu, dove sono stati uccisi Attanasio e Iacovazzi, è la cassaforte principale.



Vada avanti.

La corsa all’accaparramento dei minerali è solo il pezzo di una più vasta catastrofe continentale che ha lì, in quel punto, forse il suo maggiore epicentro. Prima la guerra etnica Hutu-Tutsi, poi le due guerre del Congo ne hanno fatto il luogo di una violenza permanente. Sempre nel Kivu ci sono sconfinamenti continui delle forze ruandesi che sostengono i congolesi ribelli.

Lei conosce la strada dove è stato ucciso Attanasio?

Sì. È la strada da Goma per Kanyamahoro. Lì ci sono stati i genocidi più feroci, la guerra civile più tremenda. Nemmeno la polizia, se non è costretta, attraversa la foresta in quel tratto. È forse la strada più pericolosa del mondo. Non basta una jeep. Nemmeno un paio di veicoli del World Food Programme. Serve una colonna armata.



Si può morire così, come Attanasio e Iacovazzi, in una missione informale?

Se accade, vuol dire che sono stati commessi degli errori gravi.

Cosa pensa dell’ambasciatore?

Da quello che ho letto del suo profilo, posso dire che certamente l’ambasciatore era una valentissima persona, di gran cuore. Ho la sensazione che confinasse più con la santità che con la politica.

Che cosa intende dire?

Credo che nessun diplomatico di vecchio stampo avrebbe mai fatto una cosa simile. Non solo Visconti Venosta, ma neppure Sergio Romano. E questo mi fa paura.

Perché?

Perché l’amore e la carità non possono sostituire la sicurezza. Se questo avviene, si commette un errore di valutazione.

Il segretario generale della Farnesina Elisabetta Belloni ha pubblicato sul Corriere un ricordo accorato, pieno di stima professionale e umana. Nondimeno le cronache e i commenti sembrano brillare per un’assenza.

C’è un tempo per ogni cosa. Dobbiamo comportarci da colombe con le colombe. Ma se non abbiamo davanti le colombe? Quando la situazione lo richiede, cioè se lo impone, bisogna essere come serpenti.

Come può un ambasciatore, cioè lo Stato italiano, nella situazione che ha descritto, salire a bordo di veicoli del World Food Programme non blindati e senza scorta armata?

La Farnesina smentirà. Un ambasciatore italiano non può averlo fatto. Sono certo che le cose sono andate diversamente. Cosa è successo in quel momento tragico dobbiamo ancora saperlo.

Però le prime ricostruzioni parlano chiaro.

Io continuo a sostenere che non sia stato possibile. La Farnesina smentirà una fake news e ci dirà come sono andate le cose. Non posso francamente dire altro.

Cioè sarebbe grave se i fatti rimanessero quelli che sappiamo.

Sarebbe impensabile, non all’altezza di qualsiasi consesso diplomatico.

Non le viene in mente, fatte le debite proporzioni, ciò che accadde nel 2012 in Libia all’ambasciatore Stevens?

Assolutamente no. Intorno alla sede di Bengasi ci fu una battaglia, l’ambasciatore americano si difese con le armi fino all’ultimo.

Scusi ma devo insistere. Che valutazioni deve compiere un ambasciatore quando decide uno spostamento come quello, fatale, compiuto da Attanasio?

Se vuole o deve farlo, l’ambasciatore – che è come dire la sua struttura di supporto, ultimamente il ministero degli Esteri – deve esaminare attentamente tutto il contesto, perché le incognite mettono a repentaglio, con la sua vita, la sovranità dello Stato.

Dov’è finito il realismo politico?

Non esiste più. Non in Italia.

Chi lo ha ucciso?

Chiunque abbia operato per sradicare il principio di realtà, pensando di delegare le grandi questioni nazionali e internazionali all’etica della convinzione. Si è perso il senso della comunità di destino e della responsabilità necessaria. 

Attanasio – ha scritto ancora la Belloni sul Corriere – “credeva che l’Italia, agendo insieme all’Unione Europea e alle Nazioni Unite, potesse svolgere un ruolo importante per promuovere sviluppo e pace”.

Non fa una piega. All’Onu abbiamo i nostri ambasciatori, bravissimi professionisti come Attanasio.

Tocca ad un ambasciatore portare gli aiuti del Programma alimentare mondiale in una scuola del Congo?

È una missione, al pari di tante altre della nostra diplomazia, necessaria a seconda dei contesti in cui l’Italia opera. E come tutte le missioni politiche, va svolta in condizioni adeguate.

Quali sarebbero?

Sicurezza diplomatica, economica e militare. Non c’è l’una senza l’altra. La missione in Libano guidata dal generale Angioni resta un modello studiato nel mondo.

(Federico Ferraù)

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