Ondate di calore estive che durano settimane, tempeste devastanti, incendi boschivi estesi e incontrollabili, precipitazioni torrenziali improvvise con un tragico seguito di frane e allagamenti, siccità estreme e prolungate che producono danni all’agricoltura e alla produzione di energia idroelettrica. Il clima sta davvero cambiando, tutti ce ne stiamo rendendo conto e lo comprendiamo dal continuo incremento, in frequenza e intensità, di fenomeni meteorologici che erano sempre avvenuti nel passato, ma mai in forme cosi estreme e disastrose.



Che di questa deriva climatica sia responsabile l’uomo – attraverso la continua, massiccia emissione in atmosfera di gas ad effetto serra prodotti dall’impiego dei combustibili fossili – ne abbiamo acquisito consapevolezza. C’è ormai un vastissimo consenso politico, fra le nazioni del mondo e dentro i singoli Paesi, sulle misure da avviare per arginare il cambiamento del clima e da più di vent’anni si siglano accordi internazionali (da Kyoto a Parigi) per ridurre e alla fine azzerare il consumo dei combustili fossili. Ma i progressi sono lentissimi e intanto la situazione climatica continua ad aggravarsi.



Diventa allora fondamentale ricorrere all’altro strumento strategico nel contrasto agli effetti del cambiamento del clima, e cioè alle politiche di adattamento. Adattarsi a un clima che cambia significa prevenire o minimizzare tutti i suoi possibili impatti negativi sulla nostra salute, sulla produzione agro-alimentare, sull’integrità del territorio e degli insediamenti umani, sulla vitalità e biodiversità degli ecosistemi. Al contrario delle politiche di mitigazione, che richiedono accordi onerosi e vincolanti tra i grandi attori politici ed economici e quindi devono essere guidate dall’alto, l’adattamento si basa invece su azioni realizzabili in gran parte alla base della società, secondo un duplice principio di sussidiarietà e di responsabilità. Comunità locali, istituzioni comunali e regionali, gruppi locali di interessi, imprese possono così diventare i più efficaci protagonisti di questo processo che si fonda sulla riformulazione di tutte le politiche di settore alla luce della valutazione del rischio climatico, sul coordinamento tra i vari livelli decisionali e sul coinvolgimento di tutti i possibili attori nel processo di formulazione e gestione degli interventi.



Il livello politico regionale si presta, in particolare, a fungere da cardine per le politiche di adattamento. Possiede una struttura istituzionale abbastanza robusta per dialogare con lo Stato centrale e con gli organismi sovranazionali come l’Unione europea ed è al contempo sufficientemente decentrato per interloquire facilmente con le realtà comunali e le comunità locali. Nel caso italiano la Lombardia è un esempio perfetto per il Paese e per altre regioni europee.

Già nel 2014 era stata approvata dall’amministrazione regionale lombarda la Strategia Regionale di Adattamento al Cambiamento Climatico (SRACC) corredata, due anni dopo, dal relativo Documento di Azione (DARACC) redatti entrambi, con la consulenza scientifica della Fondazione Lombardia per l’Ambiente, sulla base delle indicazioni fornite dalla Strategia Europea di adattamento del 2013. Negli anni seguenti era stato redatto il Piano di Azione nazionale (PNACC) che, nello scorso mese di dicembre, è stato aggiornato in funzione della nuova Strategia europea del 2021.

Una strategia di adattamento e, con maggiore operatività, un Piano di Azione si fonda su un’attenta analisi climatica su tutto il territorio regionale degli impatti climatici attesi nei prossimi decenni (possibilmente fino a fine secolo) in funzione della prevista evoluzione del clima, a sua volta dipendente dagli scenari emissivi ipotizzabili a livello globale. Vengono poi valutate le specifiche vulnerabilità presenti in tutti i settori sensibili agli impatti climatici pervenendo così a una valutazione puntuale dei possibili rischi. L’analisi si estende a tutti i possibili bersagli del territorio, dagli insediamenti urbani alle aree montane, dalle reti di trasporto alle infrastrutture energetiche, dalle aree produttive a quelle turistiche, dalla salute dell’uomo alla protezione dei sistemi naturali, dal settore agroalimentare alla gestione delle acque.

I rischi così individuati si fronteggiano definendo obiettivi generali e specifici delle politiche settoriali di adattamento e, in questo contesto, si delinea un quadro di opzioni di intervento che, nella redazione di un piano di azione operativo, vengono poi ordinate secondo tempi, priorità e fattibilità tecniche ed economiche. A sei anni dall’approvazione del Documento di Azione e sulla scia della nuova strategia europea e del recente Piano nazionale è doveroso che la Lombardia si doti al più presto di un Piano di azione organico per fare dell’adattamento al cambiamento del clima anche uno strumento capace di promuovere una più ampia e solidale resilienza di tutto il territorio regionale sotto il profilo della tutela dell’ambiente, di una nuova e più sostenibile economia e di una società più coesa e inclusiva.

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