L’elezione di Trump alla Casa Bianca, e soprattutto l’ampiezza del risultato, pongono domande più che lecite sulle sorti di un mondo che mai come in questi anni ha sofferto di cambiamenti epocali non solo a livello di economie talmente emergenti da aver costruito poteri alternativi al vecchio dualismo Usa-Urss, ma anche e sopratutto la necessità di rapporti economici che il tanto osannato globalismo ha in pratica distrutto anche per normative che sono rispettate solo da alcune nazioni ma sistematicamente sorvolate da altri, creando alla fine gap economici pazzeschi.
Pensiamo ad esempio che una Ue ha emanato dei codici “green” discutibilissimi e in maggior parte imposti solo per far favori a poteri economici globali (mettendo in crisi la sua intera classe media) quando il Vecchio continente produce solo il 2,85% delle emissioni di CO2, mentre il resto del mondo ne emette il restante 97% (Usa, Cina e India in particolare) senza che venga minimamente preso in considerazione l’Accordo di Parigi di anni fa.
Ma dove gli Usa devono anche decidere in maniera netta è pure nella loro proiezione e relazione con il continente latinoamericano, nel quale, negli ultimi anni, il potere Dem alla Casa bianca ha prodotto, per esempio, sanzioni mai rispettate e poi ritirate nei confronti della dittatura di Maduro, al potere con elezioni truccate in Venezuela, per poi invece sottobanco sponsorizzare lo stesso regime firmando accordi economici, come quello sul petrolio, fregandosene altamente di una cosa chiamata rispetto della democrazia, che doveva contraddistinguere proprio un partito che dice di essere Dem, ma poi alla fine si rivela molto Radical-chic Ztl pensiero unico.
Attualmente il Continente sudamericano è diviso in tre posizioni a livello politico. La prima è rappresentata da dittature vere e proprie, anche se al potere attraverso il mezzo delle elezioni (farlocche ovviamente) che sono nell’ordine Cuba, Nicaragua e Venezuela. E lì Trump ha fatto sapere da tempo di voler usare il pugno di ferro per isolarle anche economicamente: pure se, come in altri Paesi, da decenni Cina e Russia alimentano questi regimi, in cambio, ovviamente delle immense ricchezze delle loro nazioni, esclusa Cuba, ovviamente, ma lì conta il fatto di essere una balconata davanti al territorio Usa.
Poi ci sono invece Paesi dove il populismo ha vinto elezioni regolari o quasi (Bolivia docet) e che sono parte di gruppi aderenti al Foro di Sao Paulo, una associazione che raggruppa le sinistre del Continente oltre al similare Grupo de Puebla: Brasile, Messico, Bolivia, Colombia ne fanno parte.
Infine, ci sono Paesi come l’Argentina, l’Uruguay, El Salvador, in parte il Cile e il Paraguay, dove il potere è nelle mani di un liberalismo democratico che però in Paraguay è spinto da una destra molto forte, mentre in Cile la sinistra, al potere dal 2021 con il socialista Gabriel Boric, vive una costante critica nei confronti delle altre nazioni populiste, dovuta pure alla collezione di sconfitte riportate nei vari referendum che dovevano modificare la Costituzione nazionale.
Rimangono l’Ecuador e il Perù, dove la situazione è ancora incerta, anche se entrambe le nazioni sono uscite da periodi di populismo che le hanno portate alla rovina.
È chiaro che in un simile contesto l’oltranzismo di Trump favorirà innanzitutto il liberismo e contrasterà tutto il resto, ma anche qui la penetrazione di Cina e Russia è da anni presente e non sarà un compito facile favorire democrazie funzionanti in Paesi che, oltretutto, hanno già aderito ai Brics, quindi a un gruppo che cerca di contrastare il potere economico e politico Usa a livello mondiale.
Ricordiamo che però Trump è stato eletto Presidente anche grazie alla spinta di masse di immigrati dall’America Latina che ormai sono radicate negli Usa: il problema è capire quanto l’istituzione della democrazia rimarrà tale nelle mani di uno che incarna un potere di una nazione che ha spesso commesso errori strategici immensi nel mondo e anche restaurato regimi pure ispirati al terrorismo, specie nel mondo arabo, vedasi l’Afghanistan ad esempio.
C’è anche da considerare che in questo scacchiere “rischia” di entrare pure una Ue che solo pochissimi anni fa si è accorta dell’esistenza del Continente sudamericano e in pratica ha portato avanti un accordo tra il Mercosur (una molto ipotetica unione economica di Paesi sudamericani) e la stessa Ue. Il trattato commerciale ha sì un valore storico, ma nonostante ci siano voluti più di 20 anni di trattative, ancora non è operativo perché pure la Ue pare essere un’unione farlocca di Stati, dove una volta firmati accordi sorgono Paesi che non li vogliono rispettare perché ostacolano la loro economia.
E poi dobbiamo considerare, per esempio, che una delle direttive del piano 2030 che l’Ue vuole portare avanti attraverso il pessimo Governo attuale, prevede l’aumento delle importazioni agricole dal Sud del mondo verso il Vecchio continente, distruggendo in pratica tutto il settore europeo: manovra che già si attua da anni, visto che per esempio l’Italia importa quantità industriali di limoni dall’Argentina, danneggiando le proprie coltivazioni e anche, con altri Paesi europei, dimostrando quanto sia “green” importare limoni che vengono trasportati per 20.000 km.
Insomma, le politiche Usa nel sud del continente americano rappresentano ancora un grosso rebus di non facile soluzione e i cui effetti si estenderanno, di riflesso, anche in una cara vecchia Europa che, nel corso degli ultimi decenni, non è mai maturata. Speriamo che qualcosa chiamato buon senso prenda il sopravvento sulle sostanziali ignoranze che emergono nelle relazioni di conoscenza tra “mondi” differenti, perché quando si agisce senza conoscere bene le situazioni si fanno solo danni.
Tocchiamo ferro, anche perché l’America latina potrebbe rappresentare una svolta positiva nel cambiamento mondiale.
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