Il mese di marzo con ogni probabilità sarà un periodo molto caldo in Sudamerica: nonostante un’estate abbastanza atipica in generale (più simile a una primavera inoltrata che a una stagione torrida), e considerando che finirà proprio il prossimo mese per entrare nell’autunno, quelle altissime saranno le temperature politiche e sociali che minacciano di esplodere in situazioni delle quali è abbastanza logico fare previsioni tempestose, specie in Argentina e Cile.
Lo spettro del default grava nel cielo di Buenos Aires: la visita del Fmi ha rappresentato una doccia fredda, nonostante il Presidente Alberto Fernandez abbia dichiarato che “il Fondo ha ammesso che abbiamo detto la verità”. Il documento emesso dal Fondo in effetti fa una diagnosi alquanto reale, sebbene in termini molto diplomatici, della situazione: l’Argentina è un Paese che ha difficoltà a onorare i pagamenti del debito e ciò coincide con la visione del Presidente. Ma è la scoperta dell’acqua calda: tutti sanno da un bel po’ che l’aiuto del Fmi venne invocato da Macri per poter pagare un altro debito contratto dal precedente Governo all’8%, quindi le difficoltà esistono da mo’ e per questo si è saldato contraendo un nuovo debito con il Fmi al 4% di interesse.
Ma il documento dice anche di apprezzare gli sforzi dell’attuale Governo per le misure prese per controllare l’inflazione e per poter saldare il debito e invita Fernandez a inasprire ancora di più le misure prese. In pratica dice: “Ok, avete 100 miliardi di dollari di debito? Sì. Potete restituirceli? No. E allora inasprite le misure di austerità o entrate in default.
In poche parole è l’inizio di una crisi che solo il Governo riesce a interpretare come un successo: ripetendo quello che pare ormai il leitmotiv della sua gestione. L’interpretazione: e così il processo di inasprimento fiscale fino all’inverosimile si è trasformato in solidarietà, quello che ha colpito i pensionati (privati della scala mobile sulle loro pensioni) si è trasformato in aumento come pure i ridicoli incrementi alle pensioni “sociali” e ai sussidi di povertà (3 euro, ergo 198 pesos, 2 litri di latte… sic!).
Ma se l’Argentina finge un timido sorriso, mentre i suoi abitanti se la fanno letteralmente sotto dalla paura, consapevoli ormai del dodicesimo default in arrivo, il Cile non può certo dirsi felice, anche se mediaticamente poco se ne parla. Marzo rischia di rappresentare il timeout per Piñera e il suo Governo: l’intero Paese protagonista della storica manifestazione a Santiago dell’ottobre scorso con 1.200.000 persone pacificamente in piazza per il cambiamento con richieste precise, ora vuole vedere i fatti. In aprile ci sarà il referendum sul cambio della Costituzione per svuotarla della paternità di Pinochet e darle nuovi e attuali contenuti, ma per il resto poco si vede.
Come ci informano fonti diplomatiche da noi consultate in off, “pur se gli indici di povertà sono leggermente aumentati ed ora abbiano raggiunto un 9% (cifra davvero bassa e frutto di 30 anni di progetti congiunti a livello politico, ndr), si deve procedere a una redistribuzione del reddito e soprattutto bisogna mettere nero su bianco sul sociale, creando infrastrutture di qualità (ospedali pubblici e istruzione soprattutto, ma anche edilizia civile) che possano permettere un benessere maggiore. E davvero singolare come nel nostro Paese, seppur dotato di una capacità industria non primaria a livello mondiale, risiedano 3 tra le 20 persone più ricche del mondo. Ciò significa una distribuzione irregolare della ricchezza”.
Insomma, più equità, ed è per questo che le varie organizzazioni sociali hanno promesso battaglia nel caso Piñera ed il Governo non mantengano la parola data sulle riforme: in parole povere facciano i Fernandez della situazione.