Non è la prima volta che negli Usa le testate liberal corrono a denunciare per violazione della laicità costituzionale un’iniziativa della Chiesa cattolica come quella ultimamente promossa in Oklahoma sul terreno della sussidiarietà scolastica. Appare invece meno banale che le contestazioni giungano dallo stesso fronte politico-mediatico che in questi giorni preme in direzione opposta – almeno da alcune angolature – sul Primo Emendamento della Carta statunitense. Sono le voci che – in nome di una tutela piena della libertà religiosa e del contrasto a ogni discriminazione – stanno invocando sanzioni e divieti contro chi protesta contro Israele per la guerra di Gaza nei grandi e storici campus della East Coast. E mentre il caso dell’Oklahoma è già finito sui banchi della Corte Suprema dello Stato, non si può affatto escludere che entrambi i dossier, per rotte diverse, possano approdare all’Alta Corte di Washington già nell’anno appena iniziato: quando gli americani saranno chiamati a eleggere il Presidente; quello che, fra l’altro, celebrerà i 250 anni della Costituzione.



Il caso “antisemitismo ad Harvard” è noto a livello globale. La presidente Claudine Gay – prima donna afro al vertice della più antica e prestigiosa università statunitense – continua a essere quotidianamente invitata alle dimissioni perché resiste nel non voler prendere provvedimenti contro studenti e docenti che manifestano per solidarietà con i palestinesi di Gaza e dei Territori. Gay – esponente dell’ortodossia “dem” della Ivy League – non vuol recedere dal rispetto stretto del Primo Emendamento: quello che da più di due secoli garantisce la libertà di pensiero e parola negli Stati Uniti, nonché totale libertà religiosa a condizione invalicabile che una confessione non pretenda di diventare “di Stato”, prevaricando così la vita pubblica.



trustee di Harvard – dove si sono laureati fra gli altri John Kennedy e Barack Obama – hanno dovuto rinnovare per due volte in un mese la fiducia alla president, ma i “bombardamenti” su Gay sono andati in escalation parallela alle operazioni militari israeliane a Gaza. Le pressioni vengono principalmente dal fronte dei grandi donatori, dove sono tradizionalmente numerosi gli israeliti, americani e non. I preannunci di taglio dei finanziamenti o di corsie preferenziali di assunzione per i laureati sono all’ordine del giorno. E sono già stati fatali a Liz Magill, numero uno della Penn University, licenziata poche ore dopo aver sostenuto davanti al Congresso – seduta a fianco della collega di Harvard – la stessa posizione sulle marce pro-palestinesi degli studenti millennial.



È stata Magill (una giurista) a puntualizzare che l’equazione “antisionismo uguale antisemitismo” non è accettabile a prescindere, cioè prima di un’attenta valutazione del “contesto” di una situazione. L’assimilazione breve sarebbe arbitraria (è peraltro la posizione anche di un importante intellettuale israelita di Harvard come Shaul Magid e non sembra quindi giustificare l’adozione in corsa di misure eccezionali contro le proteste anti-Israele. Lo slogan pro-palestinese “Dal fiume (Giordano) al mare (Mediterraneo)” non costituirebbe “istigazione al genocidio ebraico” e la sua inclusione tout court nel “razzismo religioso” appare dibattibile. In un clima sempre più arroventato, non sono stati invece pochi gli opinionisti (fra cui molti liberal) che – su testate come il New York Times, da sempre controllato da una famiglia israelita – hanno sostenuto con forza la necessità di esemplari salti di qualità: di fatto (come la rimozione sommaria della presidente di Harvard) o di diritto, attraverso la fissazione estesa e definitiva di sanzioni “assolute” contro ogni atto ampiamente accusabile di “antisionismo/antisemitismo” (compresa ogni forma di boicottaggio economico verso lo Stato ebraico).

In un angolo apparentemente molto diverso del continente nordamericano, l’arcidiocesi cattolica di Oklahoma City e la diocesi di Tulsa stanno stringendo i tempi sul lancio di una charter school innovativa, previsto per l’autunno del 2024. Il progetto della St Isidore of Seville Catholic Virtual School ha già ottenuto lo scorso lo scorso giugno un’autorizzazione preliminare da parte delle autorità scolastiche dello Stato, governato dai repubblicani. Sull’iniziativa si sono però subito accesi i fari politico-mediatici in quanto per la prima volta una charter school – cioè un progetto educativo autonomo, direttamente elaborato dalla comunità sociale con la chiamata di insegnanti qualificati – ha chiesto un finanziamento pubblico integrale, sotto l’egida ufficiale della Chiesa cattolica. E questo ha immediatamente provocato la reazione “dovuta” dell’attorney general dell’Oklahoma (procuratore generale elettivo), Genther Drummond, che ha impugnato presso la Corte Suprema dello Stato – per violazione del Primo Emendamento – il parere favorevole dello Statewide Virtual Charter School Board. Quest’ultimo – organismo di diretta emanazione statale – aveva ritenuto rilevante anzitutto la programmatica proiezione digitale di un progetto educativo orientato ai ragazzi più dispersi e disagiati – soprattutto ispanici e nativi – nelle vaste zone rurali dell’Oklahoma.

La Catholic Conference of Oklahoma – che gestisce il progetto per conto delle diocesi – si è detta consapevole che la St Isidore School porta una sfida oggettiva al Primo Emendamento. Gli argomenti principali che sostengono il challenge sono due. Il primo, di natura legale, richiama una pronuncia formalizzata già in passato della Corte Suprema di Washington, in base alla quale “il Primo Emendamento protegge il diritto delle diocesi di cooperare con lo Stato per espandere le opportunità educative attraverso charter school virtuali”. Certo, è un’affermazione che non giunge a considerare apertamente l’estensione al 100% degli aiuti sussidiari, sfruttando al massimo strumenti entrati da tempo nella prassi delle amministrazioni scolastiche, non solo in Oklahoma. Però l’opzione integrale non viene neppure puntualmente negata.

Una prospettiva più storico-politica e decisamente più provocatoria e’ d’altronde quella così sintetizzata così da Brett Farley, Ceo della Cco: “Thomas Jefferson (secondo successore di George Washington e autore del Primo Emendamento) non intese che il Governo non deve erogare aiuti pubblici alle comunità religiose se orientate a obiettivi collettivi”. Una libertà religiosa proattiva e avanzata come fonte d’energia innovativa per la democrazia materiale negli Usa del ventunesimo secolo: è di fronte a questa specifica sfida – che sembra puntare direttamente alla Corte di Washington in un bollente anno elettorale – che il caso Oklahoma è giunto alla ribalta nazionale e oltre. Non da ultimo perché il team legale che tutela l’operazione St Isidore è quello dei giuristi della Religious Liberty Clinic della Notre Dame University: il più importante ateneo cattolico degli States.

Qui si è formata Amy Coney Barrett, la giurista cattolica ultima nominata da Donald Trump alla Corte Suprema federale. Un passaggio che tre anni fa ha fatto molto rumore: una cattolica moderata/conservatrice (fra l’altro pro-life, madre di sei figli, di cui due adottivi) ha ereditato il seggio occupato nel trentennio precedente da Ruth Bader Ginsborg, israelita harvardiana, paladina di tutte le cause di libertà civile, pari opportunità e non discriminazione; guerriera antesignana del politically correct.

Ora il timore dei giornalisti e degli intellettuali liberal è che i “Magnifici Nove” justice di Washington – fra i quali i moderati/conservatori sono oggi in maggioranza – si trovino a esaminare sullo stesso tavolo due diverse istanze di interpretazione flessibile e aggiornata del Primo Emendamento: con al centro, di fatto, il ruolo di religioni e Chiese nella società americana odierna. E con la possibilità – in una fase in cui tutte le categorie politico-culturali sembrano rimesse in discussione – che “Scotus” giudichi ammissibile il finanziamento pubblico integrale di una nuova online charter school di iniziativa cattolica nelle Grandi Pianure. E invece dichiari non ammissibile che la presidente di un ateneo privato venga in qualche modo obbligata a punire studenti e professori che manifestano contro Israele. O che la responsabile di una grande istituzione di ricerca ed educazione avanzata possa essere rimossa su pressione dei grandi donatori con la motivazione l’ateneo tutelerebbe troppo il free speech contro lo Stato ebraico e quindi troppo poco la libertà religiosa degli israeliti negli Usa.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI