Oggi vi parlo di American Fiction, film scritto e diretto da Cord Jefferson, uscito l’anno scorso. Monk è un professore afro-americano di letteratura, sulla lavagna ha scritto una frase della scrittrice Flannery O’Connor, “The artificial nigger”, ma una studentessa lo contesta per questo. Con la scusa di partecipare a un evento di letteratura – lui è anche uno scrittore di scarso successo -, l’università lo mette a riposo forzato e si reca dalla sua famiglia a Boston.
Nel suo seminario all’evento letterario si presentano quattro gatti, mentre in quello della scrittrice Sintara Golden, anch’essa nera, c’è il pienone. Il libro di Sintara è un successone e racconta gli avvenimenti dei neri americani assoggettati al giogo dei bianchi. Al suo agente editoriale Arthur ha presentato uno scritto sui persiani e attende una risposta. Si riunisce con la famiglia che non vede tempo e scopre che la madre sta andando a picco con l’Alzheimer, la sorella medico pediatra gli muore d’infarto durante un aperitivo e il fratello Cliff è stato cacciato di casa in quanto la moglie bianca ha scoperto il suo coming out. Un disastro. Conosce una vicina di casa, l’avvocata Coraline, anch’essa nera, con cui inizia una relazione e ha un momento di sollievo.
Incazzato per l’andamento della sua vita professionale e nel vedere che i lettori sono sdraiati e acclamano libri sugli stereotipi della vita dei neri, in una notte, per scherzo e rabbia, scrive un romanzetto con la lingua dei bassifondi che tratteggia la vita misera di un povero nero, senza madre, rapinatore, che in un momento di disperazione uccide il padre ubriacone. Lo firma con uno pseudonimo e nella sua biografia riporta di essere un ex carcerato in fuga.
Il suo agente Arthur lo chiama e con sommo stupore scopre che il suo solito editore è entusiasta del libro e vuole sborsare una cifra astronomica. Questo lo disgusta ed è contrario alla pubblicazione del manoscritto, ma il suo agente lo convince: I bianchi pensano di voler sentire la verità, ma in realtà vogliono solo sentirsi assolti.
Monk accetta contrariato perché ha bisogno di denaro per ricoverare la madre in un hospice per malati di Alzheimer.
Comiche ed esilaranti tre scene del film American Fiction. In collegamento telefonico con l’editrice si finge il rude carcerato in fuga. Un produttore cinematografico è disposto ad acquistare il libro per quattro milioni di dollari, lo vuol conoscere e suo malgrado anche con lui recita la parte del nero frustrato e incazzato. L’editrice, sempre telefonicamente con il responsabile marketing, gay sopra le righe, propone un titolo per il libro e Monk con l’obiettivo di fermare questa situazione per lui ormai insulsa e scindere il contratto, impone di titolarlo Fuck. E la casa editrice… accetta.
Il libro è un successone e balza in testa alle classifiche di vendita. Monk è amareggiato e sconsolato e ciò si ripercuote nella relazione con Coraline che è all’oscuro di tutto questo e lo molla.
Nell’evento letterario di Boston fa parte della giuria con altri quattro scrittori tra cui la famosa Sintara Golden di cui sopra. Devono decidere qual è il miglior libro in circolazione. Anche qui inaspettatamente viene ammesso all’ultimo minuto Fuck. I tre giurati bianchi lo scelgono come romanzo dell’anno, mentre Monk e Sintara lo bocciano. Lei per invidia, lui perché ne ha le palle piene di come viene affrontato l’argomento. Con lei ha un diverbio in cui l’accusa di: scrivere libri con a tema il povero nero emarginato, rapper, fatto di crack, ucciso dalla polizia e la vecchia sublime narrativa dei neri che mantengono la propria dignità prima di morire. Un libro ruffiano per soddisfare i sensi di colpa dei bianchi.
Ma è questo quello che vogliono gli editori, risponde lei.
Il finale di American Fiction è una chicca che non svelo.
Un bel film che scorre bene, che ha vinto inaspettatamente l’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale. Inaspettatamente perché a Hollywood, una volta tanto, hanno messo da parte il progressismo del politicamente corretto che ultimamente era stato imposto nel mondo del cinema.
Lo sceneggiatore, che è anche il regista di American Fiction, Cord Jefferson, è alla sua prima opera e tutto è nato perché nel periodo del Covid vedeva rifiutarsi i suoi copioni in quanto leggeri, i produttori volevano qualcosa di forte e di “più nero” e prendendo spunto dal romanzo Cancellazione (2001) di Percival Everett ha steso la sceneggiatura.
Agli Europei 2020 si voleva far passare come obbligatorio, sennò si veniva scomunicati dal pensiero dominante, inginocchiarsi contro il razzismo sul prato verde degli stadi. Slogan che continua a sussistere anche se sempre più annacquato.
Vi lascio con una canzone portata al successo nel 1968 da Fausto Leali che oggi non passerebbe in nessuna radio: Angeli Negri.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI