Il Ministero della Difesa è stato condannato dal Tribunale di Roma ad un maxi risarcimento per la morte del sottufficiale della Marina Militare Camillo Limatola. Morì all’età di 59 anni, il primo agosto 2013, a causa dell’esposizione all’amianto, che gli provocò il mesotelioma. L’amianto killer era nelle navi dove fu imbarcato, oltre che nelle basi della Marina di Napoli e della Maddalena, dove lavorò per molti anni, senza alcuna protezione. A rendere nota la notizia l’Osservatorio nazionale amianto presieduto dall’avvocato Ezio Bonanni, il quale ha definito la sentenza «fondamentale per il riconoscimento anche del danno psicologico sofferto dai familiari delle vittime».



Alla famiglia del deceduto spetta un risarcimento di un milione 300mila euro, come riportato dal Corriere. Il giudice Claudio Patruno ha spiegato che dagli atti è emersa la frequente presenza dell’amianto negli ambienti in cui Camillo Limatola svolgeva servizio, a bordo delle navi in cui fu imbarcato. Inoltre, ha rimarcato l’assenza di forniture di tutte, guanti e maschere filtranti, oltre che la mancanza di «adeguati sistemi di depurazione dell’aria, o sistemi di isolamento sicuro del minerale».



AMIANTO NELLA MARINA, LA BATTAGLIA DI LIMATOLA

La sentenza di condanna del Ministero della Difesa al risarcimento per la morte di Camillo Limatola è stata emessa lo scorso 27 luglio. Il giudice Claudio Patruno ha scritto che l’attività dell’equipaggio imbarcato veniva svolta «in locali abbastanza angusti, cosa che favoriva un’alta concentrazione delle fibre di amianto nell’aria». Il sottufficiale della Marina Militare è stato dipendente della stessa tra il 1973 e il 1978 nella base della Maddalena, in Sardegna. Dopo aver lavorato nella base di Napoli, sua città d’origine dove vive tuttora la vedova, fu imbarcato sull’incrociatore Vittorio Veneto. Nel 2011 la diagnosi del mesotelioma che non gli ha lasciato scampo.



Ma prima di morire Camillo Limatola era riuscito ad ottenere il riconoscimento di vittima del dovere e una liquidazione della speciale elargizione e dei doverosi riconoscimenti ai familiari, ottenuti però dopo molteplici diffide del presidente dell’Osservatorio nazionale amianto. Nel dispositivo si legge, come evidenziato dal Corriere, che anche nella base di Napoli l’amianto «era stato ampiamente utilizzato, sia in forma compatta che fibrosa, ed anche in questa sede il personale lavorava senza adeguata protezione». Infine, si precisa che la situazione trova conferma nella documentazione di indagine della Procura di Padova.