L’utilizzo del governo della parola “congiunti” nel Dpcm 26 aprile 2020 ha causato un dibattito molto acceso. Qualcuno però ha trattato il tema da un punto di vista inedito, cioè matematico. Ci riferiamo al dottor Pietro Battiston, che su YouTrend ha analizzato la questione con la teoria delle reti. La distinzione tra congiunti e amici non è illogica secondo il ricercatore del dipartimento di Economia e Management dell’Università di Parma. Le ragioni sono due e la prima è semplice: «La necessità di imporre una regola generale». Il termine “congiunto” ha un significato più preciso di “amico”. La seconda ragione è legata alla volontà di «spezzare la rete dei nostri contatti ravvicinati, che è quella che permette la diffusione del Covid-19». Secondo il dottor Battiston, un’epidemia all’interno di una famiglia non andrebbe lontano, invece nel caso degli amici «potrebbe farsi strada all’interno della rete e mano a mano raggiungerne tutti i membri». Una prima obiezione sarebbe che anche la rete dei congiunti potrebbe essere “larga”. «Il fatto però è che per il contagio non conta nulla la rete teorica dei congiunti, ma chi in pratica incontrerò tra i miei congiunti». Lo stesso vale per gli amici, «ma abbiamo visto che bastano pochi amici “fisici” a creare una rete di contatti che raggiunge tutta la popolazione».



AMICI E CONGIUNTI, LA “TEORIA DELLE RETI” SPIEGA COSA CAMBIA

Il dottor Pietro Battiston a YouTrend ha parlato anche dei sei gradi di separazione ai tempi della pandemia. Il concetto fu proposto nel 1929 da Frigyes Karinthy in “Catene”. «In poche parole, è l’idea che prendendo due esseri umani qualunque si possa trovare tra di essi una catena di non più di sei relazioni di conoscenze interpersonali». Dunque, il ricercatore spiega che il numero di persone che si possono raggiungere con una catena di contatti fisici è più basso in una rete come quella delle famiglie rispetto a quella delle amicizie. Battiston ha anche citato il progetto Polymod, finanziato dall’Unione europea. I risultati pubblicati nel 2008 mostrano che «ogni partecipante ha registrato 13,4 contatti, ma con interessanti variazioni: ad esempio gli italiani ne hanno registrate in media 19,77, i tedeschi 7,95 (sarà un caso che in Italia la malattia si sia diffusa tanto velocemente?)». Ma queste relazioni sono state anche caratterizzate, ad esempio per età. «In Italia sono frequenti gli incontri tra persone della stessa età. Ma anche gli incontri tra persone che hanno circa 35-40 anni di differenza (verosimilmente, genitori-figli) avvengono spesso. Già questo tipo di dati ci permette di simulare molto meglio il rischio di contagio in una società, anziché limitarci a semplici ipotesi».

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