Negli ultimi anni sempre più spesso si sente parlare della figura dell’amministratore di sostegno, introdotto per la prima volta nel 2004 con la legge numero 6 con l’obiettivo di tutelare coloro che (per diverse ragioni) non sono più in grado di provvedere personalmente ai propri bisogni. Accolta dalle associazioni di settore come una vera e propria rivoluzione, la figura si è fatta sempre più strada nelle pagine di cronaca, con storie di abusi e violenze di vario tipo perpetrate per volere di una figura, come l’amministratore, che dovrebbe avere un ruolo di sostegno.



Con l’aumentare delle denunce, anche l’attenzione delle stesse associazioni che si erano dette soddisfatte si è fatta diversa, più attenta e, soprattutto, critica: sono ormai migliaia i casi in cui persone anche perfettamente in salute, sia dal punto di vista mentale che fisico, sono state sottoposte contro la loro volontà alle cure di un amministratore di sostegno, private di libertà e potere decisionale senza alcuna motivazione. Non a caso già nel 2006, sulla neonata legge che istituì la figura il Comitato Onu per la tutela delle persone con disabilità suggerì all’Italia di abrogare qualsiasi misura permettesse “la sostituzione nella presa di decisioni da parte dei tutori legali”.



Le ombre degli amministratori di sostegno: troppi poteri e un sistema sbrigativo

Complessivamente a poco più di 20 anni dalla legge 6/04 in Italia si stima che più di 350mila persone sono tutelate da un amministratore di sostegno, un numero ampiamente sottovalutato quando il teste venne scritto ed approvato e che, di per sé, ha creato alcune storpiature nella legge. La più importante la denuncia proprio Paolo Cendon, che ‘inventò’ la figura dell’amministratore, al Post, ricordando che il meccanismo di affidamento richiederebbe diversi gradi di valutazione per comprendere l’effettiva incapacità del soggetto a prendere decisioni autonomamente. In molti casi, però, il giudice che approva l’amministratore di sostegno (come nel caso dei disabili la cui invalidità è facilmente riconoscibile) procede d’ufficio, dando troppa fiducia al parere dei servizi sociali.



Di conseguenza, anche se la legge prevede esplicitamente che l’amministratore sia scelto tra i familiari più vicini del beneficiario, limitando la scelta di un “soggetto terzo” a casi limite, i giudici per sbrogliare rapidamente le tantissime pratiche, nominano più facilmente avvocati o professionisti di vario tipo noti e ‘affidabili’. L’unione nazionale delle associazioni per la salute mentale, similmente, denuncia che in molti casi i giudici ricevono, per ognuno degli amministratori di sostegno che nominano, un corrispettivo economico (peraltro a carico del beneficiario dell’amministrazione), nuovamente a discapito della legge che indica l’attività come “non remunerativa”.

L’amministratore, poi, una volta nominato gode di una serie di diritti troppo ampi sul beneficiario, potendo disporre liberamente delle sue economie, nonché rappresentando l’ultimo (ed unico) decisore in materia di tutele. Numerosi, infatti, i casi in cui diversi amministratori di sostegno hanno affidato gli assistiti a delle Rsa contro il parere delle famiglie, isolandoli completamente da parenti e amici, per alleggerire il numero dei loro assistiti, talvolta elevato. Nuovamente l’UNASAM, ancora sul Post, suggerisce di inserire nella legge 6/04 maggiori tutele per i beneficiari, nonché sistemi di sorveglianza per far rispettare quelle già presenti, a partire dalla nomina prioritaria di figure all’interno della famiglia.