Distrattamente i mezzi di comunicazione accostano notizie fra loro distanti, senza neppure ipotizzare che le cose che accadono possano in qualche modo essere significative per le scelte da compiere, in un eterno dualismo tra ciò che c’è e ciò che si pensa.
Eppure la morte di due uomini, che la stampa si affanna a definire “giovani”, avrebbe senz’altro il potenziale di porre domande scomode e di sovvertire, anche per pochi istanti, questa dicotomia tra essere e pensare che inibisce la libertà. I due uomini in questione, 36 e 39 anni, sono mancati a seguito di un incidente autostradale a Modena in cui hanno perso il controllo del veicolo, andando ripetutamente a sbattere fra le corsie per poi – una volta scesi da ciò che restava del mezzo – essere investiti nella notte dalle altre automobili in transito.
La notizia, esattamente come nel caso della sedicenne malesiana suicidatasi pochi giorni fa in ossequio ad un sondaggio su Instagram, non è nell’incidente in sé, quanto nella diretta Facebook precedente di pochi secondi la tragedia, in cui le due vittime ostentano le performance di solidità dell’auto e la capacità di tenere la strada anche alla velocità cui la stavano portando, oltre i duecento chilometri all’ora. Nel breve scambio di battute fra i due si esclude una sosta in autogrill, in quanto alla festa cui erano diretti avrebbero trovato ad aspettarli “la droga e tutto il resto”.
Il fatto è stato riportato dai media con l’evidente intento di catalogarlo sotto l’etichetta “sballo tra i giovani”, quando invece proprio le età anagrafiche dei due raccontano ben altra storia: trattasi di due adulti, due uomini “finiti”, due europei dei nostri giorni, che confessano onnipotenza dinnanzi all’esistenza confidando nel potere che danno loro i mezzi che padroneggiano e le scelte di vita che hanno fatto. È un’immagine della situazione esistenziale dell’uomo occidentale contemporaneo, un’icona del nostro tempo: la certezza e l’autocoscienza dell’Io radicate nel potere e nell’affermazione di sé.
È un po’ quello che succede quando si è insieme e ci si crede invincibili, quando si fa un’esperienza della vita entusiasmante e ci si suppone per questo esenti dal male e dall’errore, quando si appartiene a qualcosa di grande e in nome di quell’appartenenza ci si autoassolve da tutto, chiudendo uno o più occhi su molte oscenità e nefandezze.
Ma è anche il modo in cui ci si concepisce quando si sono conquistati traguardi con fatica, quando si è passati attraverso dolori inenarrabili o quando si è avuto il coraggio di fare scelte controcorrente: si pensa che la vita abbia un debito illimitato verso di sé o, addirittura, di essere riusciti a trovare il modo – il meccanismo – per fregare la vita stessa, godendosi un meritato Eldorado che nessuna ombra potrà scalfire. Se si riflette con attenzione si può ritrovare in queste dinamiche un’esaltazione delle “potenzialità del potere” tipico, con diverse sfumature, della società americana, russa o cinese: è un modello che c’è, che esiste sul “mercato dell’esistenza” e che oggi – fra adulti e non – va molto forte.
Ma non è l’unico modello esistente. Dopo la fine del secondo conflitto mondiale i due Stati europei che maggiormente avevano innescato gli scontri di tutto il secolo precedente – la Francia e la Germania – decisero di smetterla di rincorrere il proprio potere e la propria autonomia per cercare nel riconoscimento reciproco il perimetro di un’identità nuova: stavano imparando dalla propria storia, dalle proprie scelte, a non rinchiudersi in se stessi, a trovare nell’altro una parte di sé per affermare non un’ostentata onnipotenza, ma una forza consapevole, capace di dialogo – in pari dignità – con tutti. È da queste premesse che sorse il modello europeo, un unicum al mondo, in cui il bene da perseguire era la pace e il limite personale non un ostacolo, bensì un’occasione – un veicolo – di incontro e di fecondità. Questo modello c’è, esiste ancora oggi nelle vite di tanti che riconoscono nelle regole comuni, nei limiti di velocità, non una limitazione alla propria sovranità, bensì la condizione per fare una strada sicuri e insieme.
Padroneggiare il potere riconoscendone i limiti, ammettere i propri errori, trovare soluzioni creative per una felicità che non nasce dallo sballo o dalla trasgressione, ma dalla gioia sempre inattesa di occupare il proprio posto: è questo che ancora oggi servirebbe a uomini come quelli morti nell’incidente di Modena, è questo che servirebbe ancora ai tanti europei che domenica prossima si recheranno alle urne per rinnovare la composizione del proprio parlamento comune.
Siamo dunque di fronte ad una scelta che l’incidente di Modena rende evidente: la ricerca della forza in un potere smisurato e inarrestabile o la ricerca del bene in una rinnovata consapevolezza di sé e dei propri limiti, ravvedendo nell’altro una continua possibilità. È una scelta degli elettori, ma anche dei mariti, delle mogli, degli insegnanti, dei genitori, dei giovani, dei politici. È una scelta urgente che nessuna diretta Facebook, nessuna distrazione di massa può procrastinare. Pena, inevitabilmente, il ritrovarsi in un testa coda con la vita e con la storia. Credendo di aver guadagnato il mondo senza rendersi conto di aver perso se stessi.