Andrea Camilleri è morto, qual è l’eredità?

La prima e più immediata risposta è, ovviamente: il personaggio del commissario Montalbano e la relativa serie di romanzi. In effetti, prima de La forma dell’acqua (1994), il giallo italiano non era poi un genere così praticato; restavano le glorie di Scerbanenco, e negli anni Ottanta aveva brillato la stella di Renato Oliveri, con i suoi romanzi dal sapore autunnale di ambientazione milanese.

Invece, è proprio con Andrea Camilleri che il giallo, nelle sue mille declinazioni, diventa il genere-guida della narrativa italiana. Pensiamo solo a tutti gli investigatori – poliziotti o no – che hanno invaso gli scaffali delle nostre librerie: Malvaldi e Manzini, Robecchi, Savatteri, Gazzola e Oggero e tanti altri; gialli su gialli che hanno come teatro lo scenario consueto della questura, oppure le sale della patologia legale, ma anche un placido bar popolato di apparentemente innocui pensionati, e persino le aule scolastiche o le bocciofile di paese.

Andrea Camilleri: lo “sdoganamento” dei vernacoli regionali

Ma se penso all’eredità di secondo livello, mi viene in mente lo “sdoganamento” dei vernacoli regionali: dopo decenni in cui essi sembravano ormai relegati nel cinema di genere o confinati al registro parlato, essi sono rientrati di prepotenza ad arricchire di sfumature semantiche la prosa dei gialli. Ricordiamo che a metà anni Novanta trovare in un libro di narrativa destinato al vasto pubblico termini regionali di derivazione dialettale non era poi così frequente, e poteva così capitare che due studenti (fra i quali la sottoscritta) si interrogassero, tra una lezione e l’altra, chiedendosi che cosa potesse significare “astutare” – mentre il significato di altri verbi e parole era intuitivo: oggi, invece, non solo essi sono diventati il tessuto dei romanzi di Camilleri con protagonista Montalbano, ma hanno aperto la porta al vernacolo e ai regionalismi, anche se in forma minore, in molti altri gialli.

Camilleri però non è solo Montalbano

Sbaglierebbe chi identificasse tout court il bonario commissario con il suo autore. Sì, perché, oltre ai libri ambientati a Vigata, Camilleri ha scritto altri romanzi, che, in modo tangente, possono rientrare comunque in senso lato nella galassia del noir, ma di tono molto diverso: penso, per esempio, a Un sabato, con gli amici (2009), romanzo di ambientazione romana e atmosfere un po’ torbide che ricorda da vicino certa produzione di Moravia; e prima ancora Il tailleur grigio (2008), singolare studio, senza sussulti delittuosi, di un tipo femminile. Ancora, sempre l’universo femminile è protagonista in Il tuttomio (2013): il romanzo può piacere o no, ma il ritratto femminile che ne emerge è a tratti inquietante, come quello della giovane protagonista di Noli me tangere (2016), che ci riporta direttamente a Eliot.

Al di là dell’apparente paciosità e affabilità, c’è sempre qualcosa di sulfureo nella fantasia di Camilleri: non solo, infatti, Camilleri è autore de Il diavolo tentatore, racconto pubblicato insieme al Diavolo innamorato di Jacques Cazotte (e il tema “diabolico” era sviluppato, ironicamente, anche nell’Odore del diavolo, nel volume di racconti “Un mese con Montalbano”); ma chi volesse apprezzare quello che ci piace pensare sia il più autentico Camilleri dovrebbe rivolgersi a un piacevole e snello libretto: Il diavolo certamente (2012), costituito da brevi, fulminanti racconti di rara cattiveria, di una perfidia così estrema da rivaleggiare con il miglior Maugham. Leggere le Storie ciniche (Adelphi) per credere.