Quando Andrea Vianello era ragazzino, parlava poco e sognava di scrivere libri. Da grande, non trovando il coraggio di scrivere, è diventato uno che viveva di parole sparate a raffica, in diretta. Finché, il 2 febbraio 2019, dopo un intervento d’urgenza per un ictus nell’emisfero sinistro del cervello causato da una dissecazione delle carotidi, si è svegliato che non sapeva più parlare, pur essendo lucido e nonostante le vedesse nitide nella sua testa, quelle parole. “Cos’è successo quel 2 febbraio? – si domanda tra le pagine del settimanale Oggi – Facendo colazione, mi sono accorto che la mano destra non rispondeva, poi che non controllavo tutta la parte destra. Ho iniziato a urlare il nome di mia moglie Francesca. Lei quando mi ha visto ha capito subito, ha chiamato l’ambulanza e mi ha salvato la vita. Durante l’intervento, mi sono stati impiantati due stent per riattivare la circolazione del sangue al cervello. Ma al mio risveglio avevo perso le parole e non riuscivo più a muovere bene la mano destra. Non so come sia accaduto. Stavo bene, non avevo colesterolo o altri fattori di rischio, le mie carotidi erano pulite. I medici con cui ho parlato hanno ipotizzato che possa essere stato conseguenza di una manipolazione alla cervicale fatta poche ore prima, come confermerebbe lo strano mal di testa avuto il giorno prima dell’ictus”.



Andrea Vianello dopo l’ictus

Questa cosa però, sembra essere molto rara: “Ho avuto sfiga… – continua Andrea Vianello – Ho scoperto che il cervello è un mondo straordinario. Le parole erano lì ma non riuscivo a farle uscire e sbagliavo anche le poche che dicevo. Parlare è sempre stata la mia identità e ancora oggi, se inciampo nelle parole, mi sento come se mi mostrassi sfigurato. Non sapevo dire il nome di mia moglie, né dire “moglie”, dicevo “quella che dorme con me”. All’inizio mi dissero che sarebbe stato difficile tornare com’ero. I primi sei mesi sono importanti per capire quanto si può recuperare; dopo il primo anno, ciò che è fatto è fatto. Io però pur essendo alla vigilia dell’anniversario e avendo recuperato tanto, so che posso fare ancora di più”. Per riuscirci ha fatto logopedia per i primi sei mesi, tutti i giorni. E’ stato come tornare bambino: “per me la giovane logopedista della Fondazione Santa Lucia di Roma che mi ha seguito è una specie di mamma”. Poi conclude: “Voglio tornare presto a lavorare, sono orgoglioso, presuntuoso, bravo, ho fatto il direttore, vorrei rifarlo. Anche se in modo diverso”.

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