Nell’ultimo anno in particolare abbiamo assistito ad un proliferarsi delle baby gang, gruppi composti da giovani, a volte giovanissimi, spesso e volentieri minorenni, che si rendono protagonisti di clamorose risse alla luce del sole, come quella avvenuta la scorsa settimana Desio, in provincia di Monza e Brianza, o quella di Formia del mese scorso che ha portato alla morte di un ragazzo. «Neppure il Coronavirus riesce a tenere lontani i ragazzini delle baby gang dalla loro furia distruttiva – racconta ad un’intervista a La Stampa lo psichiatra Vittorio Andreoli, direttore del Dipartimento di Psichiatria di Verona-Soave e membro della New York Academy of Sciences, autore del suo nuovo saggio “Baby gang” – perché troppo grande è la gioia nel distruggere. E più il numero dei componenti della banda è alto, più intensa è la forza distruttiva».



Ma da dove nasce la violenza, chiede quindi il giornalista del quotidiano torinese: «Ricordiamoci sempre che se vuoi capire che cos’è la violenza devi prima capire che cos’è la paura. Purtroppo per molti giovanissimi la violenza è un modo per vincere le proprie paure e insicurezze. L’adolescenza è una fase di metamorfosi: c’è il corpo che cambia, c’è la paura di rimanere da soli».



ANDREOLI E LE BABY GANG: “FAMIGLIA E SCUOLA SONO FONDAMENTALI”

Andreoli prosegue: «La baby gang distrugge, ruba, picchia: ha il gusto della distruzione tanto che piuttosto che violenza bisognerebbe chiamarla distruttività. La baby gang prova soddisfazione nel distruggere perché la distruzione fornisce una percezione psicologica fortissima e domina totalmente la realtà». Ma c’è un modo per arginare questa triste tendenza vista l’escalation degli ultimi tempi? Secondo lo psichiatra non servono le forze dell’ordine ma la scuola e la famiglia: «Il ruolo più importante lo svolge l’educazione da parte delle famiglie e della scuola. Occorre che gli adolescenti si sentano gratificati, che si sentano piccoli protagonisti. Per questa ragione è determinante farli sentire utili e importanti in famiglia come nella società. Bisogna dare dei ruoli sociali agli adolescenti, mentre purtroppo la società non li tiene in considerazione, così come fa con i vecchi. E invece, a entrambi questi gruppi, occorre dare qualcosa da fare». Andreolli propone quindi alcuni esempi di ‘utilità’ per i giovani: «Per esempio potrebbero fare compagnia, anche con una telefonata, agli anziani soli. O potrebbero essere coinvolti, a piccoli gruppi, in laboratori artigianali. La via giusta è quella dell’educazione pratica. Gli adolescenti potrebbero anche costruirsi i loro amati computer e telefonini».

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