Il progetto di Angelina Jolie e UNHCR per combattere la violenza sulle donne nei paesi di guerra sembra essersi arenato, se non peggio. Come riportano il Corriere della Sera e il Times, i report svelati dai rapporti dell’organizzazione promotrice della causa non sono affatto positivi. La prima causa di questo fallimento sta nella mal riuscita conferenza internazionale contro la violenza sessuale sulle donne in territori di conflitti: i diversi attivisti interessati alla causa non trovarono le giuste basi per portare avanti un’azione efficace e duratura. Già allora, infatti, il governo britannico che era maggiormente interessato a finanziare il progetto per diventare leader globale nella causa, ridusse i fondi facendo calare drasticamente la cifra promessa inizialmente da 15 milioni di sterline a 2. La Independent Commission for Aid Impact, la commissione che ha promosso l’iniziativa, ha evidenziato che la carenza di interesse successiva all’entusiasmo principale ha penalizzato tantissimo la riuscita del progetto, lasciando oltretutto nel dimenticatoio anche le numerose vittime che furono usate come promotrici del progetto.



Angelina Jolie dalla parte delle vittime di stupri ma il suo progetto per i paesi di guerra fallisce

“Dobbiamo spazzare via la cultura dell’impunità per questi crimini” aveva esordito così l’attrice Angelina Jolie durante la prima conferenza mondiale per la violenza sulle donne nei paesi di guerra. L’allora ministro degli esteri britannico William Hague era stato coinvolto nel progetto ma è bastato un cambio della guardia, con l’arrivo di un nuovo entourage al ministero degli esteri, che tutto sembra essere andato nella peggiore delle direzioni. Lo staff predisposto per la cura del progetto è stato ridotto e l’interesse da parte del governo britannico è calato. Nel rapporto della Icai non si leggono risultati positivi e traspare la preoccupazione verso le persone che si sono esposte in quel periodo per convincere l’assemblea giunta a Londra. “In molti casi i contatti cessarono dopo la conferenza, un atteggiamento che rischia di danneggiare i sopravvissuti”, si legge nel rapporto che poi svela che “dopo il summit non è stato fatto nulla per tradurre gli impegni in un piano d’azione”. Dominic Raab, il ministro degli esteri che ha succeduto Hague, si è subito difeso dalle accuse di disinteresse verso la causa: “Nel documento non viene riconosciuto pienamente l’impatto della leadership britannica che mobilitato la comunità internazionale e portato un cambiamento reale nelle vite dei sopravvissuti”.

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