Angelo Branduardi e il racconto velato di ironia del suo successo, a partire dal suo brano senza dubbio più famoso, anche tra chi non lo conosce. “Mille e mille e mille vorrei averne scritte, di ‘Alla fiera dell’Est’! È il mio grano di immortalità: nessun bambino sa come mi chiamo, ma se gli dici del cane che morse il gatto che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò sa tutto e la canta. Sarei felicissimo se venissi identificato solo con questa canzone – confessa nell’intervista per Repubblica – Il bello è che puntavamo sul Lato A, ‘Il dono del cervo’, che non era per nulla male. ‘Alla fiera dell’Est’ non piaceva ed era troppo lunga per le radio. Mi salvò la tv: mi invitarono, la cantai e fu una valanga”.



Angelo Branduardi parla di sé come di un “artista di nicchia che ogni tanto incontra il mainstream, se non capita è lo stesso. Sarei durato di più scrivendo pop e andando a Sanremo. Ma non sarei stato me stesso”. Spiega che all’estero, ma in fondo anche in patria, “mi considerano profondamente un italiano del Rinascimento. Giocherà anche l’aspetto fisico, coltivato solo per esprimere la mia personalità, non per creare un personaggio: sono una persona e un artista, è ben diverso”.

Angelo Branduardi: “capii che da grande avrei fatto il musicista quando…”

Angelo Branduardi svela com’è nato l’amore per la musica e in particolar modo per il violino: “sono nato a Cuggiono, campagna milanese, nella fattoria di mia nonna materna. Ma a tre mesi ero già a Genova, nei vicoli eternati da De André, zeppi di personaggi bizzarri e irregolari – ricorda tra le pagine di Repubblica – Per farmi studiare musica, papà mi portò da un maestro di violino, Augusto Silvestri, che mi cambiò la vita aprendomi una magica scatola con uno strumento lucente, profumato di legno. Un’agnizione. Capii che avrei fatto il musicista da grande”. Grazie anche all’influenza indelebile dei poeti, come per esempio “Franco Fortini, mio insegnante alla Statale. Andavo a trovarlo e lui mi apriva dei mondi con letture e spiegazioni”.

Nel corso della sua lunghissima carriera artistica, Angelo Branduardi ha conosciuto numerosi personaggi e artisti di successo, tra cui menziona anche Giorgio Faletti: “Ne coglievo un lato poetico. Lo esortai a comporre testi di canzoni e facemmo due dischi. Quando scrisse ‘Io uccido’ mi raccontò la trama per due ore e mezzo a tavola, svelandomi anche il colpevole. E non lo lessi”. E scherza: “da allora fu così per ogni romanzo: cena, spoiler, mancata lettura, successo”.